Devastanti crisi politiche nel mondo e lo jihadismo feroce torna a colpire

L’ex Isis, il temuto Stato Islamico, che in troppi avevano già dato per definitivamente sconfitto, rialza la testa. Approfittando delle devastanti crisi politiche in Medio Oriente, che hanno messo tutti contro tutti, i superstiti del ‘Califfo’ sono tornati all’attacco, prendendo di mira, letteralmente, tutto quello che entra nel loro raggio d’azione, fra la Siria centrorientale e l’Irak settentrionale.

I numeri nascosti del terrorismo

I numeri degli assalti terroristici, condotti da queste feroci milizie islamiste negli ultimi due anni, hanno avuto un’impressionante impennata. In totale, sono stati registrati ben 455 assalti nel solo territorio irakeno, mentre ancora più complicata si è fatta la situazione in Siria. Nelle aree controllate dalle Forze Democratiche Curdo-siriane (SDF), a partire dall’inizio del 2024, sono stati effettuati un centinaio di attentati. Altri assalti, nell’area di Badiyya e nei Governatorati siriani sparsi nel resto del Paese, hanno ucciso sia soldati delle forze di sicurezza di Damasco che civili, facendo un totale di 130 morti. Nel frattempo, i combattenti dell’ex Isis hanno raggiunto un obiettivo strategico significativo, tagliando in diversi punti un’arteria vitale per i trasporti e i rifornimenti siriani, come l’autostrada che da Raqqah porta a Deir Ez-Zour.

Il Nuovo ‘Islamic State’ e il ‘Piano Mosul’

Certo, le operazioni terroristiche di questo ‘Nuovo Isis’, che appare ancora troppo sfilacciato e diffuso a macchie di leopardo, ancora non sembrano preoccupare gli occidentali più di tanto. Ma gli esperti internazionali dell’anti-terrorismo, consigliano di non abbassare la guardia: qualcuno ipotizza l’esistenza di un vero e proprio progetto fondamentalista, che potremmo definire ‘Piano Mosul’. Una replica, cioè, dello sciame di azioni terroristiche che, approfittando del vuoto di potere politico, portò nel 2014 al collasso della città irakena e alla sua caduta nelle mani del Califfo. Proprio Mosul rappresentò poi il nucleo sul quale l’Isis cominciò a costruire una parvenza di Stato.

Niente più ‘Stato’, ma pericolose bande armate

Oggi non ci sono più quelle condizioni, tuttavia si stanno aprendo per i sanguinari fondamentalisti delle «finestre di opportunità». In generale, dicono gli esperti di terrorismo islamico, i gruppi superstiti del Califfato si muovono nelle aree desertiche dell’est notd-est siriano, da Badiyya fino alla regione di Suwayda. E da lì sconfinano fino all’Irak centro-settentrionale. La loro clamorosa riapparizione è direttamente proporzionale alla crescita delle tensioni geopolitiche, in tutta la macro-area di crisi che va dal Medio Oriente al Golfo Persico.

La nuova crisi siriana

In particolare, sembrano saltati tutti i fragili equilibri, che avevano portata a una (sia pur) precaria stabilizzazione della Siria. Gli accordi (quasi mai sottoscritti) e le tacite intese tra i ‘mediatori’ non funzionano più o, nel migliore dei casi, vengono mal tollerati. Stati Uniti, Russia, Siria, Israele, Turchia, Iran, milizie curde e gruppi sciiti e sunniti di tutte le specie, si dividono, più o meno scompostamente il territorio. E nelle zone di confine delle «sfere d’influenza» è facile che si sovrappongano le forze. E che ci scappi l’incidente, magari per ‘miscalculation’. Ed è più facile che proprio a queste cosiddette «terre di nessuno», meno pattugliate, possano puntare gli attacchi del Nuovo Isis. Non solo. Dove c’è da colpire più facilmente, i terroristi non fanno distinzioni di sorta. Sparano su chiunque: americano, siriano, curdo, sciita o anche sunnita giudicato «troppo morbido».

L’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha sede nel Regno Unito, è arrivato addirittura a citare il caso di stragi di ‘cercatori di tartufi’, compiute dall’Isis, a scoraggiare le persone dall’avventurarsi nel deserto, dove i jihadisti hanno le loro basi.

La Casa Bianca in ritirata

Il rinfocolarsi dell’estremismo islamico più spietato, in un momento già delicato per la crisi palestinese, ha finito per aumentare i dubbi e le preoccupazioni della Casa Bianca. Sul tavolo, c’è il programmato ritiro della maggior parte del contingente americano dall’Irak. Il governo di Baghdad (anche su pressioni iraniane) ha già chiesto a Biden, da tempo, di onorare questo impegno. Ma adesso ci sono delle novità che non è possibile trascurare. Innanzi tutto, l’acuirsi del confronto tra Tel Aviv e Teheran impone a Washington prudenza. E supervisione. Poi c’è la ‘novità’, sgradevole ma reale, della resurrezione dello Stato Islamico.

Il generale Michael Kurilla, capo del CENTCOM, il Comando Centrale delle forze armate americane, in audizione al Congresso ha detto che in Siria sono rimasti circa 1.500 uomini dell’Isis. Certo, pochi per fare una guerra ma, secondo noi, sufficienti per riempire di bombe tutto il Medio Oriente.

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