Erdogan, malori da stanchezza, timori di sconfitta e l’enigma di un dopo

Malore in diretta Tv. Il presidente turco ospite della Ülke TV fatica a parlare e si interrompono le trasmissioni. Immagini fuori campo, caos in studio, poi Erdogan ricompare affermando di essere un po’ stanco per la campagna elettorale. Cancellati tutti gli impegni e a riposo. Per quanto?
Il 14 maggio sarà ancora lui il presidente-sultano dopo 20 anni di potere? L’esito del voto appare volatile, e la sua portata politica non riguarda solo la Turchia, in profonda crisi economica, ma tutte le alleanze strategiche dentro e oltre la Nato cucite dall’intraprendente e discutibile personaggio.

L’avversario politico Kemal Kilicdaroglu

I sondaggi dicono che potrebbe perdere

Turchia ed Erdogan: dopo vent’anni di potere, con grosse venature autocratiche, forse o l’ora di scegliersi un nuovo Presidente della Repubblica. Lo sfidante, che raccoglie quasi tutte le forze dell’opposizione è Kemal Kilicdaroglu, nome impronunciabile e limiti di carisma. Ma sarà comunque Erdogan a fare tutto: anche a perdere. La sua campagna elettorale dura da almeno due anni, a tutto campo, a cominciare dall’economia, per finire alla politica estera. Con ormai molti ed evidenti errori di governo e ci calcolo elettorale.

Economia da brivido

Il Presidente ha salvato la crescita (nominale) del Pil, ma ha affondato il potere d’acquisto reale della popolazione, con la valuta nazionale, la lira, precipitata. La strage degli innocenti che però votano. Erdogan, tra sussidi, bonus, prezzi politici, aumenti di stipendio ‘creativi’ e altre prebende e sportule assistenziali, aveva cercato di reggere l’illusione economica almeno fino alle elezioni. Con un ritorno ad un necessario rigore economico e fiscale rinviato al dopo voto e alla sua rielezione. Ma forse questa volta ha sbagliato i conti.

Terremoto anche politico

Il devastante terremoto di febbraio, prima di tutto, ha messo a nudo l’incapacità dell’esecutivo di essere efficiente nei soccorsi. Poi, la spirale al ribasso dell’economia e la maldestra gestione dei flussi migratori, hanno ulteriormente contribuito ad abbassare il consenso. Insomma, il vento è cambiato e i sondaggi, prima quasi ottimistici, hanno cominciato a essere ‘questionable’. E il segno degli eventi ieri, con Erdogan stressato per i continui comizi, che ha avuto un malore in diretta tv. Dallo Stato maggiore del partito di Erdogan, l’AKP, ‘Giustizia e sviluppo’, filtra una certa preoccupazione. E i numeri non rassicurano.

Sondaggi crudeli

L’ultimissimo sondaggio, condotto da Al-Monitor-Premise Data in tutta la Turchia (margine di errore 3%), dà praticamente i due sfidanti appaiati. Erdogan al 45,2%, mentre Kemal Kilicdaroglu raggiunge il 44,9%.

Su cosa decideranno i turchi

  • Si diceva del peso avuto dall’economia nel determinare gli orientamenti di voto. Secondo il sondaggio di Al-Monitor, quasi il 70% degli intervistati ha manifestato previsioni negative sull’andamento dell’inflazione, attribuendo al governo una politica finanziaria sbagliata.
  • Molto diffusa, tra le preoccupazione degli elettori, anche quella per la corruzione, nella cui speciale classifica internazionale la Turchia va oltre il 100º posto. Corruzione ‘istituzionale’, che si annida in tutte le pieghe della burocrazia.
  • Al terzo posto tra le accuse lanciate al governo Erdogan c’è quella della gestione dei profughi: 4, 5 milioni di rifugiati, in massima parte provenienti dalla Siria. Il terremoto di febbraio ha esasperato questa situazione, colpendo aree dove si era provvisoriamente accampato un milione di siriani.
  • L’impegno finanziario susseguente è stato visto quasi come una prova, del fatto che la Turchia è stata lasciata da sola nell’emergenza.
  • Per la ricostruzione, le organizzazioni internazionali hanno calcolato che ci vorranno fino a 80 miliardi di dollari.

Ritorno del laicismo kemalista?

Ora, bisognerà vedere se la coalizione delle opposizioni, guidata dal CHP, il Partito Popolare Repubblicano del poco carismatico Kemal Kilicdaroglu, riuscirà a sfruttare la stanchezza del Paese. E anche quella dello stesso Erdogan. Pure i Repubblicani si sono mossi per tempo, mettendo da parte le differenze ideologiche con gli altri partiti della coalizione.

Nessun candidato curdo per sconfiggere il despota

Una straordinaria manovra, che potrebbe rivelarsi vincente, è stata quella di avere convinto i curdi (HDP) a non presentare un loro candidato. Questo, dicono gli analisti, significa che quella enorme minoranza potrà essere determinante per un’eventuale sconfitta del Presidente uscente.

Il ‘melting pot’ dell’opposizione

Laici kemalisti, islamici moderati, nazionalisti e minoranze assortite. Formazioni politiche che hanno messo da parte le loro diversità, per concentrarsi su un unico obiettivo: sconfiggere Erdogan e il suo sistema di potere, che giudicano una caricatura della democrazia. Una pillola indorata e fatta ingoiare al popolo turco col referendum confermativo del 2018.

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