Antonio Guterres, «Stiamo vedendo gli effetti nella città di Kherson, di Nova Kakhovka e in altre 80 città e villaggi lungo il fiume Dnipro e minacce alla centrale nucleare già altamente a rischio di Zaporizhzia».
La diga di Nova Khakovka era stata terminata nel 1956, durante l’Unione sovietica, e da oltre 60 anni il suo argine alto 30 metri e lungo più di 3 chilometri alimentava la centrale idroelettrica più grande d’Ucraina e tra le più grandi d’Europa. Se ne parlò nel 2014, ci ricorda Sabato Angieri, quando, col referendum la Crimea diventa russa, e la struttura fu modificata dal governo ucraino che bloccò con un’ulteriore diga il canale di Crimea che portava acqua potabile alla penisola. Dopo l’invasione del febbraio 2022, Nova Khakovka e la regione di Kherson sono state tra i primi territori a essere occupati dalle truppe russe, che per un breve periodo hanno ripristinato le forniture d’acqua fino a Sebastopoli, segnala il Manifesto.
A novembre, nella prima controffensiva ucraina, i soldati di Kiev sono rientrati in possesso della parte ovest del Kherson, ma non della diga. Da allora accuse e contro accuse su chi la minacciava. Nel frattempo 18 milioni di metri cubi d’acqua liberati nel fiume Dnipro stanno travolgendo tutto ciò che incontrano sul proprio corso fino al mare. Ma soprattutto forniture d’acqua per il raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhia in allerta, anche se l’Aiea dichiara che la situazione è sotto controllo per ora.
Circa 100 chilometri in linea d’aria più a nord, la più grande centrale nucleare d’Europa, oggi in mano russa. Le acque del Dnepr sono essenziali per il raffreddamento dei sei reattori, sebbene al momento non si segnalino rischi di incidente atomico (cinque reattori ibernati e uno in standby), precisa Mirko Mussetti su Limes. Energoatom, ente nazionale per la produzione elettronucleare dell’Ucraina è l’azienda di Stato che, con i mezzi e il personale che le resta, si occupa della gestione delle quattro centrali nucleari attive del paese – Rivne, Chmel’nyc’kyj, Južnoukraïns’k, Zaporižžja – e anche dello smantellamento dei tre reattori superstiti della centrale di Černobyl’.
L’impianto di Zaporižžja, è il più grande d’Europa con ben sei reattori attivi, ed è l’unica centrale nucleare caduta nelle mani della Russia dopo l’invasione. Attorno alle sue strutture si verificano soventemente scambi di artiglieria tra le parti in guerra, con serie preoccupazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il direttore generale dell’agenzia specializzata delle Nazioni Unite Rafael Grossi si è recato sul posto per verificare di persona la precaria situazione di sicurezza dell’impianto e ha esortato in più occasioni Russia e Ucraina a creare una zona di sicurezza demilitarizzata attorno all’impianto. Ma la proposta a oggi è rimasta inascoltata.
Secondo studi di Energoatom, nei primi 14 giorni successivi all’incidente le radiazioni colpirebbero principalmente i territori occupati dalla Russia, investendo addirittura il territorio della Federazione. Con venti che spirano verso est, i più alti danni biologi da radiazione – 10-100 nanosievert [rosso] – verrebbero sperimentati nei territori a oriente del grande fiume Dnepr, fino quasi a lambire la città russa di Rostov sul Don. Danni ingenti – 1-10 nanosievert [arancione] – sarebbero subiti da tutto il quadrante sud-orientale dell’Ucraina e dalla Crimea, penisola annessa dalla Russia nel 2014. Danni biologici considerevoli – 0,1-1 nanosievert [ocra] – sarebbero registrati anche nell’importante città russa di Krasnodar (930 mila abitanti) e nelle aree immediatamente a ovest di Volgodonsk, che distano circa 560 chilometri dall’impianto ucraino.
Ma le carte sono come armi e possono essere strumento di propaganda. Secondo la proiezione di Energoatom, il capoluogo stesso da cui la centrale prende il nome, Zaporižžja, sarebbe solo sfiorato dal grosso della contaminazione, sebbene disti dai reattori solo 50 chilometri in linea d’aria. Kryvyj Rih – città natale del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelens’kyj – non sarebbe nemmeno investita dalle radiazioni nelle prime due settimane dopo il potenziale incidente, riporta Limes. In realtà, sul bassopiano la meteorologia é mutevole, e questo rende poco attendibile la proiezione dell’ente statale ucraino, che fa ricadere sulla Russia e sui territori occupati la quasi totalità dei danni biologici.
La centrale nucleare più grande d’Europa è nel mezzo della zona più fertile dell’Ucraina e dell’intero continente. Attorno alla grande ansa del fiume Dnepr si concentra gran parte della produzione nazionale di cereali, in particolare frumento, destinata in larga misura all’esportazione. Un incidente atomico a Enerhodar metterebbe all’istante fuori mercato il grano ucraino, generando non solo danni economici in patria, ma anche potenziali carestie in altre parti del mondo.
Anche le riserve idriche del bacino del basso Dnepr verrebbero contaminate, con ulteriori danni ambientali e alla salute umana e animale. La Crimea non sarebbe immune alla catastrofe idrica: la penisola dipende, anzi, dipendeva dall’acqua dolce attinta dall’invaso idrico di Nova Kakhovka sul grande corso d’acqua ucraino. Sete prima di una possibile nube radioattiva senza bomba.