‘Deutsche Waffen für alle’, armi tedesche per tutti

Dal 1 gennaio al 12 dicembre di quest’anno il governo tedesco ha approvato la vendita di armamenti all’estero per 11,7 miliardi di euro. Oltre alle forniture a Kiev spuntano le solite eccezioni a favore di Arabia Saudita, Emirati e Qatar. E le promesse politiche di governo svaniscono nel riservato ma lucroso mondo degli affari di guerra e dintorni.

Esportazione di armi, Germania da record

Era il ‘governo semaforo’, tra il rosso tranquillizzante socialdemocratico, il verde un po’ pasticciato dei verdi e il giallo del liberali nel mezzo a segalate quando sì e quando no. Con l’impegno esplicito dell’allora neo cancelliere Scholz ch, sulk fronte delle armi, ‘l’era Merkel era finita’. Promessa formale da parte di Spd, Verdi e liberali di ridurre drasticamente l’export di armi made in Germany. Ma arriva qual guastafeste Sebastiano Canetta, da Barlino a farci crollare un mito. Scholz è un bugiardo e la Germania, se le conviene, prende tutti noi per il fondo schiena.

Record bellico del governo

In realtà, a svelare il segreto, è un frammento di quella sinistra che da quella parti ancora resiste senza scolorire troppo: l’interrogazione al Bundestag dell’ex deputata Linke (sinistra), Sevim Dagdelen, ora accanto alla ex eurodeputata italo-tedesca Sahra Wagenknecht, che è anche giornalista, e che, essendo brava, sa fare le domande che contano. Esempio, il conto annuale del business dell’industria nazionale. Forse per applaudire, e forse no. Ma il dato messo da parte, ecco che doveva diventare pubblico.

Se 11,7 miliardi vi sembran pochi

Sempre dal 1 gennaio al 12 dicembre di quest’anno il governo ‘Ampel’, il semaforo di Berlino, ha approvato la vendita di armamenti all’estero per 11,7 miliardi di euro, come deve ammette a denti stretti il ministro dell’Economia, Robert Habeck, esponente molto imbarazzato dei Verdi, visto che è lui a dover firmare i nulla-osta imprescindibili per spedire cannoni e munizioni oltre confine, come precisa il Manifesto. E subito appare chiaro anche agli ingenui, che la sola guerra in Ucraina non è certo in grado di giustificare l’enormità della cifra.

Alla fine, al sempre più emaciato Zelensky, dopo i tanto sospirati Leopard di seconda mano,  è finito appena un terzo delle esportazioni complessive della Germania cresciute del 25% rispetto all’anno scorso e del 40% in confronto di due anni fa.

Prima cosa, e poi a chi. Nato a non soltanto

La lista delle forniture approvate dal governo Scholz si divide ordinatamente per generi. Vere e proprie armi (carri armati, bombe o proiettili) per 6,1 miliardi di euro) Equipaggiamento militare di vario genere e utilizzo per 5,5 miliardi. Nella maggior parte dei casi i destinatari sono stati gli alleati della Nato o gli Stati che per Berlino e gli Usa godono di status militare equivalente, come il Giappone, l’Australia e la Corea del Sud.

Regola ed eccezioni

Ma spuntano le solite eccezioni a favore di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati nonostante ufficialmente sussista lo stop all’export nei confronti di chi non rispetta i diritti umani. Oltre, ovviamente, a Israele che nel nome della ragione di stato ha ricevuto forniture dieci volte superiori alla lista del 2022.

Dettagli su a chi conviene

Ucraina, Orban e Netanyahu

  • In totale quest’anno la Germania ha venduto all’Ucraina armi per 4,1 miliardi, compresi i carri Leopard-2, i blindati Ghepard, e una montagna di munizioni di artiglieria, seguita dalla Norvegia con 1,2 miliardi di ordini e dall’Ungheria di Orbán forte di commesse pari a 1,03 miliardi.
  • Poi c’è il Regno Unito con 655 milioni di euro e gli Usa con 545 milioni, prima della confinante Polonia il cui riarmo preoccupa Scholz ma evidentemente non abbastanza da congelare i 327 milioni di prodotti bellici girati alle forze armate di Varsavia.
  • In direzione del governo di Bibi Netanyahu, invece, sono partite spedizioni di sistemi d’arma del valore di oltre 323 milioni di euro: letteralmente decuplicate rispetto all’ultimo conto. Gran parte delle circa 200 autorizzazioni verso Tel Aviv sono state firmate dopo il 7 ottobre.

Deregulation bellica

La deregulation bellica del governo Scholz è stata possibile grazie all’assenza della legge sul controllo delle armi destinata a frenare l’export. Una autorità parlamentare di controllo promessa in campagna elettorale due anni fa dei socialdemocratici e dei Verdi -all’epoca indignati per i numeri del governo Merkel-, ma la norma, arrivati al governo assieme al conflitto ucraino, è finita nel cassetto. Il risultato è che ora sulle armi Berlino corre perfino più veloce di Washington, il paradosso denunciato da Cannetta. Molti paradossi assieme.

«Mentre l’ex ‘interventista’ Joe Biden è prigioniero dei veti dei repubblicani il cancelliere Scholz, fino a ieri bollato come recalcitrante, è l’uomo che vende più polvere da sparo richiesta dal mercato di guerra».

Imbarazzi politici e pentimenti

All’interno di Spd e Verdi non si festeggia l’esploit economico di quegli 11,7 miliardi. Da subito la denuncia del deputato socialdemocratico Ralf Stegner sulla consegna di armi all’Arabia Saudita, «una delle dittature più sanguinarie». E l’elenco critico potrebbe continuare alla guerra dolente in Medio Oriente.

«Il governo si concentri sulla povertà, la fuga dalle zone di guerra e dall’Ambiente devastato. Guardare al solo business industriale non risolve uno solo di questi problemi». Ma il segretario dei Verdi, Omid Nouripour, già mette le mani avanti: «Introdurre un tetto all’export, ma non si può fare dall’oggi al domani».
Tags: armi GERMANIA
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro