Vi sono pochi dubbi sul fatto che Putin e il suo alleato Lukashenko stiano utilizzando il problema dei migranti per mettere in difficoltà l’Unione Europea. Del resto, è noto che anche Erdogan sta praticando la stessa strategia. L’unica differenza è che il “sultano” si fa profumatamente pagare per impedire che i disperati lascino il suolo turco e si dirigano verso l’Ue, lasciando però scoperti varchi attraverso i quali la fuga può essere tentata.
Nessuna richiesta di denaro invece, da Mosca e Minsk. Federazione Russa e Bielorussia vogliono solo accrescere le difficoltà di Bruxelles, magari usando i migranti per cercare di ammorbidire le sanzioni emanate dopo l’invasione dell’Ucraina.
Purtroppo occorre constatare che le varie nazioni europee affrontano il problema (anzi: il dramma) in ordine sparso. Non c’è alcuna strategia comune che l’Unione abbia adottato. E, se anche vi fosse, vien fatto di pensare che non verrebbe accettata da tutti.
La reazione più comune consiste nel costruire muri sempre più alti, con grandi quantità di filo spinato e dotati di sensori elettronici in grado di dare l’allarme in caso di sconfinamento. Tali muri danno, ai Paesi che li erigono, un notevole senso di sicurezza.
E’ lecito chiedersi, tuttavia, se tale senso di sicurezza sia giustificato, o se si tratta piuttosto di una sicurezza fasulla. I fenomeni migratori sono una costante della storia, e non solo di quella occidentale. Gli imperatori cinesi costruirono la Grande Muraglia, che resta tuttora una meraviglia architettonica.
Però non riuscì affatto a fermare i popoli delle steppe dell’Asia centrale, che la superarono senza eccessivi problemi penetrando quindi nei territori dell’Impero Celeste, mischiandosi ai cinesi e imponendo addirittura dinastie estranee agli “han”, la componente etnica maggioritaria della Cina.
Ci si chiede, quindi, perché mai nella nostra epoca i muri che vengono costruiti a ritmo accelerato nell’Europa dell’Est dovrebbero riuscire a bloccare le ondate di disperati che vogliono penetrare nelle nazioni più ricche, alla ricerca di un’esistenza migliore.
Il caso emblematico è quello della Polonia, ormai trasformata in una sorta di “fortezza” protetta dai muri anzidetti. Senza scordare che non tutti i confini sono fortificabili in questo modo. Per esempio, tra Polonia e Bielorussia esistono vaste aree con grandi foreste e acquitrini che rendono in pratica impossibile la costruzione di muri di quel tipo.
Ora si apprende che Varsavia intende erigere un muro anche al confine con l’enclave russa di Kaliningrad, peraltro irta di missili che Mosca vi ha piazzato per far pesare la sua presenza militare. Il governo polacco è allarmato per l’aumento dei voli dall’Africa a Kaliningrad, e accusa quello russo di voler incoraggiare anche qui il passaggio di migranti.
Sottolineando ancora una vota le responsabilità di Mosca (e di Minsk) che usa i migranti come “arma politica”, è tuttavia lecito chiedersi se una nazione vasta come la Polonia può davvero trasformarsi in fortezza inespugnabile con questi metodi. Dopo tutto è il Paese in cui Lech Walesa fondò il movimento sindacale “Solidarnosc” (che significa “solidarietà”).
Una solidarietà concessa in pratica senza limiti ai profughi ucraini in virtù della vicinanza etnica e linguistica. Ma negata a quelli africani e mediorientali che, con i polacchi, non possono vantare alcun tipo di affinità. Chissà cosa ne direbbe Immanuel Kant, che a Kaliningrad (in precedenza Koenigsberg) era nato, e che osò addirittura scrivere un libro intitolato “Per la pace perpetua”.
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