
Non si allenta in Myanmar la morsa dei militari golpisti. Il capo della giunta, il generale Min Aung Hlaing, due anni dopo aver preso il potere con la forza, ha annunciato che nuove elezioni si terranno nel prossimo mese di agosto.
In apparenza è una buona notizia, ma tutti rammentano quanto accadde nella tornata elettorale del 2020. La Lega Nazionale per la Democrazia, guidata dalla premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, ottenne una vittoria schiacciante conquistando la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento.
Per un po’ l’esercito stette a guardare, pur manifestando inquietudine per il processo di democratizzazione promosso dal partito vincitore. Poi, temendo di perdere definitivamente il grande potere – anche economico – che da sempre detiene, attuò un golpe sanguinoso riportando indietro le lancette dell’orologio.
Da quando sono tornati in sella i militari non hanno certo avuto la mano leggera. Stime degli osservatori internazionali giudicano che, dopo il golpe, la repressione dell’esercito abbia causato la morte di 3000 persone e l’incarcerazione di altre 13000.
Naturalmente le carceri dei militari sono molto dure e i detenuti, oltre a soffrire la fame, sono oggetto di continui abusi. Nonostante questo i cittadini birmani in questi anni hanno continuato a manifestare, incuranti del fatto che i soldati hanno ordine di sparare a vista.
E’ stato pure formato un Governo di unità nazionale, che opera in clandestinità, e che conta sull’appoggio delle Forze popolari di difesa, una nuova milizia civile che dispone di armi leggere.
In risposta, i militari hanno ripreso le esecuzioni politiche, incendiato interi villaggi considerati “ribelli” e bombardato anche scuole e ospedali perché sospettati di dare rifugio a elementi antigovernativi.
Il che fa capire che nel Paese è ormai diffusa un’intensa attività di guerriglia. Non si tratta, però, della guerriglia tradizionale condotta da gruppi etnici che vogliono una maggiore autonomia – o addirittura l’indipendenza – dal governo centrale.
Questa volta i guerriglieri hanno l’obiettivo di rovesciare la giunta miliare giunta al potere con il golpe, e di instaurare nuovamente un governo democratico eletto direttamente dai cittadini. Obiettivo invero difficile da realizzare, poiché significherebbe la fine del controllo che l’esercito ha sul Paese, e che risale addirittura agli anni dell’indipendenza dal Regno Unito, che fu ottenuta nel 1948.
Infatti i militari hanno già provveduto a imprigionare per l’ennesima volta Aung San Suu Kyi. Ben sapendo che la leader della Lega Nazionale, nonostante le polemiche internazionali per le sue posizioni sulla minoranza musulmana dei Rohingya, conserva comunque tutto il suo carisma presso la popolazione.
In realtà l’esercito che, come dianzi accennato, ha in mano tutte le leve del potere economico e finanziario, ha già posto condizioni. Vuole che il nuovo sistema democratico, pur essendo multipartitico, sial contempo molto “disciplinato” e, quindi obbediente alle indicazioni dei militari.
Non c’è alcun segno, quindi, che l’esercito intenda davvero lasciare i cittadini liberi di scegliere. E spiace, a tale proposito, notare che la giunta golpista birmana gode dell’appoggio della Repubblica Popolare Cinese, e, in misura minore, della Federazione Russa, che in Myanmar hanno grandi interessi economici da tutelare.