
La parte militare spetta ‘per contratto’ agli americani e quella ‘organizzativa’, almeno di facciata, dovrebbe essere appannaggio degli europei, che infatti la gestiscono con l’ex Primo Ministro norvegese, Jens Stoltenberg. Il problema? Il Segretario generale della Nato, già in proroga, finirà il suo mandato a ottobre, ma ancora non ci si è messi d’accordo sul suo successore. Nel senso che, probabilmente, non esiste. Ovverossia, non c’è una figura che riesca a incarnare, bilanciandole, le tante scuole di pensiero geopolitico che stanno crescendo, a macchia di leopardo, in tutto l’Occidente.
Un’area che, per dirla tutta, ha valori certamente comuni, ma interessi sostanzialmente diversi. Ecco perché i baltici, i polacchi e i britannici vogliono l’Ucraina subito nella Nato, mentre francesi e tedeschi da quest’orecchio proprio non ci sentono. Per non parlare degli ungheresi. I due nomi di cui si parlava nei corridoi delle Cancellerie, come possibili candidati, è meglio dire subito che sono stati ‘affondati’ da Biden. Che, pure i neofiti lo capiscono, è quello che sull’argomento ha l’ultima parola.
La Premier socialdemocratica danese, Matte Frederiksen, e il Segretario alla Difesa britannico, Ben Wallace, sono stati scartati dalla Casa Bianca. E, per la verità, anche da altri. La prima è una strana ‘barricadera’ di sinistra, pronta però a scaraventare i migranti nei campi di lavoro. Il secondo è un guerrafondaio, noto per prendere posizioni autolesionistiche per l’Occidente (scuola Boris Johnson). Ergo, dicono i bene informati, anziché mettere a soqquadro l’Alleanza, Biden preferisce aspettare, magari fino al prossimo aprile, per la nuova nomina, chiedendo nel frattempo a Stoltenberg il sacrificio di un’ulteriore proroga di alcuni mesi. Certo, qualcuno potrebbe pensare che addebitare agli Stati Uniti, questo conclamato potere vessatorio sulle nomine della Nato, possa essere un’illazione che sconfina quasi nella maldicenza.
Sentite cosa dice, però, testualmente, il capo Ufficio stampa della Casa Bianca (Marine Jean-Pierre) sull’argomento: «Stoltenberg ha fatto un lavoro fantastico e Biden non ha ancora preso nessuna decisione su chi possa essere il suo successore». Capito chi decide?
Questa vicenda ci porta su un altro terreno, molto scivoloso, che è quello del raggio d’azione di competenza della Nato. In sostanza, dice il Presidente della Francia, Emmanuel Macron, se l’Alleanza è ‘atlantica’, che ci facciamo in Giappone? Tutto nasce dalla volontà americana «di fare aprire un ‘ufficio di corrispondenza’ della Nato a Tokyo». Un atto formale, visto come il primo passo per un coordinamento integrato di forze militari, contro un nemico comune. Che Macron, senza troppi giri di parole, identifica nella Cina. Da qui nasce il suo rifiuto di aderire alla ‘proposta’ (chiamiamola così) avanzata dal Pentagono. Per aggiustare le cose, senza lasciare feriti, pare che si opterà per potenziare, a Bruxelles, un ‘ufficio di collegamento’ (già esistente) delle Forze armate giapponesi.
Le divergenze geopolitiche di Macron sulla visione unipolare americana non sono recenti, anche se in questi ultimi tempi si sono accentuate. Ha più volte invitato la Casa Bianca a riflettere sul gioco, molto pericoloso, di accerchiare la Cina, che per l’Europa può essere un ‘competitor’, ma non certo il ‘nemico’. In questo ruolo, la Francia, come la Germania e diversi altri Paesi del blocco europeo ex comunista, vedono quasi esclusivamente la Russia di Putin. Non capiscono, quindi, perché la Nato, anziché focalizzare la sua attenzione e le sue risorse lungo l’ex cortina di ferro, snaturi la sua funzione fino a presidiare l’Indo-Pacifico. Secondo Macron, quasi a scavalcare le corrette obiezioni di buona diplomazia fatte ripetutamente alla governance statunitense, la presenza del Giappone alle riunioni della Nato è ormai diventata quasi automatica.
È come se i nipponici fossero ormai membri ‘de facto’ dell’Alleanza, assurti a veri e propri ‘cani da guardia’ della crescita cinese. Al vertice Nato di Vilnius, in Lituania, il prossimo 11 luglio, sarà presente come invitato ufficiale il premier giapponese Fumio Kishida. Appunto.
Non è bastato il via libera svedese all’estradizione di un attivista curdo di cittadinanza turca, Mehmet Kokolu, né l’approvazione della legge anti-terrorismo che è di fatto il mezzo per estradarne ancora di più. Non basta la polizia politica svedese Säpo dura contro le organizzazioni curde nel paese scandinavo né la firma in calce all’accordo di Madrid con cui Svezia e Finlandia promettevano di rimuovere l’embargo sulle armi alla Turchia. Ieri il presidente Erdogan, fresco di rielezione, poche ore prima dell’incontro a quattro con delegazioni di Stoccolma, Helsinki e Nato, ha ribadito che non intende togliere il veto all’adesione atlantica della Svezia fin quando non rispetterà i patti. Tutti.