Europa a gas, da quello russo a quello americano

Da una dipendenza a un’altra, forse più ‘democratica’, ma anche molto più cara. Proprio ieri, il Wall Street Journal ha sparato, in prima pagina, un rapporto trionfalistico sul boom dell’export di GNL Usa che ha rianimato la loro industria energetica del ‘fossile’, semi-moribonda, facendola ridiventare una miniera d’oro.
Titolo emblematico: “Come il gas del Texas diventa combustibile per cucinare in Francia”. Ma potevano scrivere Italia o Europa, tutti cucinati a fuoco lento.

Conti in tasca senza pudore

Il quotidiano leader del capitalismo americano ripete cose note assieme e dettagli persino imbarazzanti, partendo dal dato inoppugnabile che, dopo l’invasione dell’Ucraina, il Vecchio continente sta importando gas naturale liquefatto, dagli Stati Uniti, come mai prima d’ora, per riscaldare le case, generare elettricità e produrre energia nelle fabbriche. Dello stesso tono è un recente articolo pubblicato da Bloomberg, che esalta l’incremento nell’export di GNL americano, definito addirittura ‘vertiginoso’. I dati dimostrano che, l’attacco di Putin, ha fatto la fortuna di ‘tycoons’ di tutte le taglie, che hanno ricominciato a fare profitti stratosferici.

Raddoppio anche dei problemi

Secondo la società di analisi ‘Kpler’, nel 2022 le esportazioni di GNL dagli Stati Uniti all’Europa sono più che raddoppiate. Dietro questo sforzo, però, ci sono impegni collaterali ‘multipli’, che coinvolgono estrazione, contratti a lungo termine e trasporto. Il ciclo non è così facile come sembra, e la riconversione dei mercati ha delle ricadute geopolitiche importanti.

Problemi ambientali Usa

Il gas (e il petrolio) Usa viene al 70% dai bacini di scisto di New Mexico, Texas e Louisiana. Con una complicata manovra di frammentazione della roccia (fracking), a un paio di chilometri di profondità, gli idrocarburi (gas e petrolio) sono riportati in superficie e separati. Il gas viene poi depurato e, attraverso una ragnatela di ‘pipelines’, fatto arrivare agli impianti di refrigerazione e liquefazione. Diventato GNL, viene poi caricato su navi-cisterna gigantesche, nel Golfo del Messico, per essere traportato in Europa. Estrarlo, trattarlo e spedirlo è un processo molto impegnativo, ma soprattutto basato su costi fissi d’impianto, ammortizzabili solo nel lungo periodo.

Contratti a senso unico

E, proprio a questo punto, l’economia e la geopolitica s’incontrano e si scontrano. Chi vuole il GNL americano deve firmare contratti lunghissimi (15-20anni), per garantire gli investimenti di chi vende. Ma anche questo non basta. Il Wall Street Journal scrive che, la ‘flessibilità’ delle clausole inserite nei contratti stilati negli Usa, consente di aggirare gli impegni presi. A vantaggio Usa, ovviamente. In sostanza, si dà facoltà di vendere “dove e quando” il prezzo e più alto. Questo spiega perché, l’anno scorso, tutta una flotta di navi, piene di GNL americano, abbia invertito la rotta e, anziché sbarcare in Asia, si sia diretta in Europa. Lasciando, per esempio (e senza scrupoli) il Pakistan in un mare di guai. Una situazione che ha riguardato molti altri Paesi in via di sviluppo.

Ricatto di potenza

Certo, per l’Europa non sono tempi belli. La guerra in Ucraina e, soprattutto, la mancanza di una strategia complessiva per una soluzione ragionevole della crisi, rendono tutti i ‘danni collaterali’ difficili da affrontare. Il GNL giunto nei porti europei va ritrattato, rigassificato e trasportato, adeguando la rete di “pipelines” esistente. Un’operazione che, a livello di Commissione UE, è stato calcolato dovrebbe costare oltre 300 miliardi di euro, entro il 2030. Somma enorme che, accoppiata agli obblighi derivanti dai contratti a lungo termine, fa storcere il naso a molti politici, pronti a scommettere, invece, sul futuro di un Vecchio continente libero da energie fossili.

Il ‘verde’ del dollaro

In America, però, sembra di capire che il ‘verde’ che tira di più è quello dei dollari, nonostante l’Amministrazione Biden abbia fatto di tutto per darsi un’impronta ecologista, stanziando centinaia di miliardi di dollari per l’ambiente. La verità, dice il quotidiano economico, è che col GNL (e con gli altri fossili, petrolio e persino carbone) si fanno ancora affari d’oro. Solo nell’ultimo trimestre del 2022, la Shell ha fatto quasi 10 miliardi di dollari di utili, in gran parte derivanti dal gas liquido. Le prospettive? I prezzi sono calati, ma sono pronti a ripartire, in qualsiasi momento, avverte Eugene Kim, direttore della ricerca presso la società di consulenza energetica Wood Mackenzie.

Ricatto di altro colore

Con la ripresa post-pandemica della Cina, lo stabilizzarsi della catena di approvvigionamento delle materie prime e la crescita della domanda, specie nel Sud-est asiatico, l’Europa deve fare bene i suoi conti. Senza un credibile piano energetico di lungo periodo, ancora per diverso tempo dovrà affidarsi all’arrivo del GNL a stelle e strisce.

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