«Una conversazione aperta e sincera». Così un funzionario del Dipartimento di stato ha descritto il colloquio avuto questa mattina dal Segretario di stato Blinken con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Aperta a sincera anche a sottolineare le distanze. Infatti il ‘clima cordiale’ non è servito a rivitalizzare i legami logori tra i due paesi stretti alleati per decenni, sottolinea su Pagine Esteri, Michele Giorgio.
Disaccordi sempre più profondi un po’ su tutto, dalla politica verso l’Iran alle questioni di sicurezza regionale, dai rapporti dei sauditi con Russia e Cina al prezzo del petrolio. Senza dimenticare che Riyadh non intende normalizzazione le relazioni con Israele, come chiede l’Amministrazione Biden, senza soddisfare prima le sue condizioni, a partire dall’appoggio Usa al suo programma atomico ad uso civile che non piace allo Stato ebraico.
«Hanno discusso del potenziale per la normalizzazione delle relazioni con Israele e hanno concordato di proseguire il dialogo sulla questione», ha detto il funzionario statunitense, senza fornire ulteriori dettagli.
L’Arabia Saudita nel 2020 ha dato la sua ‘benedizione politica’ alla decisione degli Emirati e del Bahrain di stabilire le relazioni con Israele sollecitata da Trump. Ma Riyadh poi non si è unita agli Accordi di Abramo affermando che deve essere realizzato prima l’obiettivo di uno Stato palestinese indipendente. E ad aprile si è riconciliata, almeno formalmente, con l’Iran, rivale regionale e arcinemico di Israele.
In ogni caso la monarchia saudita, sotto la guida dell’erede al trono Mbs – spregiudicato in politica estera ma noto anche per la sua brutalità nei confronti di rivali, dissidenti e oppositori politici – non sembra avere alcuna intenzione di invertire la rotta. Al contrario, incentivare la politica ‘multilaterale’ che l’ha portata a stringere i rapporti con Russia e Cina contro i desideri di Washington.
L’altro giorno ha accolto con calore il presidente venezuelano Nicolas Maduro e il mese scorso il siriano Bashar Assad, storici ‘nemici’ degli Stati uniti. Senza dimenticare l’Iran di cui diciamo dopo.
Un segnale conciliante, ma solo a metà, la monarchia saudita l’ha indirizzato agli alleati Usa, spingendo l’Opec e una decina di Paesi produttori partner (l’Opec+), a prorogare al 2024 i tagli alla produzione di petrolio stabiliti nei mesi scorsi. Il ministro dell’energia saudita, Abdelaziz bin Salman, ha spiegato che la proroga dei tagli è stata decisa «con l’intento di aiutare a migliorare la stabilità dei mercati e di evitarne la volatilità».
Washington che sta cercando di realizzare in Medio oriente un sistema di sicurezza regionale con un accordo di cooperazione per la difesa aerea ha il problema dall’impresentabile ultra destra nazionalista israeliana di Netanyahu. L’iniziativa israeliana di un ‘Forum del Negev’ che comprenda Israele, Usa, Bahrain, Egitto, Marocco ed Emirati, e che di fatto sarebbe un accordo politico-militare contro l’Iran. Molti incontri, zero progressi.
L’Arabia saudita – come riportato sia dal Wall Street Journal che dal New York Times – vuole dagli Stati uniti il sostegno ad un suo programma nucleare, garanzie di sicurezza e accesso senza restrizioni all’acquisto delle armi Usa più sofisticate. Godere con gli Usa di uno status simile a quello di Israele. Perché, pensano a Riyadh, la normalizzazione con Tel Aviv nelle condizioni attuali perpetuerebbe solo il potere, di fatto assoluto, dello Stato ebraico nella regione.
Inciampo diplomatico Usa, mentre il portavoce del ministero degli Esteri dell’Iran Nasser Kanani annuncia la riapertura dell’ambasciata a Riyad, del consolato a Gedda e dell’ufficio di rappresentanza nell’Organizzazione per la cooperazione islamica. Al momento manca la conferma ufficiale sulla riapertura dell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Teheran dopo la già citata mediazione della Repubblica Popolare Cinese tra le due potenze del Golfo.