Il parlamento montenegrino ha dato la fiducia al nuovo governo di colazione, che comprende anche forze filorusse, quasi cinque mesi dopo le elezioni legislative. Il governo del primo ministro Milojko Spajić è stato votato da 46 dei 66 deputati presenti (il parlamento è unicamerale e conta 81 seggi) in una seduta durata fino a notte inoltrata. Il suo partito, Europe Now, ha ottenuto un esile vantaggio alle elezioni legislative di giugno, che ha portato a lunghi negoziati per formare un governo di coalizione. La nuova coalizione comprende partiti filorussi e filoserbi, in particolare l’alleanza Per il futuro del Montenegro, il cui leader Andrija Mandić è stato eletto presidente della camera il 30 ottobre.
L’alleanza di Mandić si oppone al riconoscimento dell’ex provincia separatista serba del Kosovo e non sostiene le sanzioni internazionali contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina.
«Il nostro desiderio è che il Montenegro sia la Svizzera dei Balcani e la Singapore dell’Europa», ha detto Spajić, esagerando, prima del voto.
Coglie l’occasione la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in visita nei Balcani occidentali, che ha incoraggiato Podgorica a concentrarsi sull’alleanza con l’Unione europea. Anche lei esagerando. «Il Montenegro è un paese all’avanguardia nel percorso di adesione all’Unione europea», ha dichiarato Von der Leyen dopo aver incontrato il presidente Jakov Mijatović. «Insieme dovremmo percorrere l’ultimo miglio, arrivando al traguardo». Secondo Mijatović, la prospettiva di un’adesione all’Unione europea prima del 2030 «è assolutamente realistica e possibile». Costretta dal ruolo, Von der Leyen frena, sottolineando che «il processo di adesione è basato sul merito. Non è guidato da un calendario, ma dall’attuazione delle riforme». Salvo sconti politici nel passato per molti dei paesi post comunisti, che stiamo pagando ancora adesso.
Milo Đukanović ha governato il paese fin dalle prime elezioni libere del 1990. Trent’anni di potere quasi assoluto con accuse diffuse di corruzione, clientelismo e vicinanza con il crimine organizzato. Ma a scompaginare le carte sono state soprattutto la pessima gestione dell’epidemia di coronavirus e soprattutto la controversa legge sulla libertà religiosa, che ha spaccato il paese, proiettando al centro del dibattito pubblico un attore potentissimo finora rimasto almeno ufficialmente fuori dalla vita politica: la Chiesa ortodossa vista come un proxy della Serbia, di cui Đukanović aveva sottostimato l’ascendente.
Le elezioni di giugno si sono tenute a pochi mesi dalla dura sconfitta subita da Milo Đukanović al ballottaggio per le presidenziali di aprile dal Milatović, figura emergente del partito Europe Now. Da quando si è costituito, nel 2022, Europe Now ha guadagnato consensi grazie a un programma filoeuropea e all’impegno di aumentare i salari e avviare riforme. Il partito ha puntato sui giovani e ha investito su una nuova classe dirigente, segnala Internazionale.
Il Montenegro, un piccolo paese di 620mila abitanti, è entrato nella Nato nel 2017 e sta negoziando l’ingresso nell’Unione europea dal 2012. Ma l’instabilità politica e la paralisi istituzionale hanno bloccato sino ad oggi l’avanzamento del processo di adesione.