
La Camera Usa autorizza l’indagine per l’impeachment di Biden, accuse su Ucraina e affari del figlio Hunter, mossa elettorale repubblicana, per i democratici una farsa per vendicare i due impeachment contro Trump, ma i guai grossi per il presidente arrivano da Israele su Gaza e dalla rivolta Onu di ieri.
La reazione al voto quasi unanime del mondo Onu alla guerra totale israeliana su Gaza, alla gestione della questione palestinese di parte ebraica, e al sostegno in miliardi e armi, senza se e senza ma, da parte statunitense, adesso sta adesso esplodendo in casa delle due potenze protagoniste. Con il Presidente Biden, messo sempre più sotto pressione dall’opinione pubblica internazionale. Ma soprattutto, contestato da quella elettorale di casa che, misurata a sondaggi, preannuncia bufera, anzi, tempesta. In poche settimane, con l’aumento dei sanguinosi bombardamenti israeliani, e con il suo incondizionato sostegno al governo autoritario di Tel Aviv, il plurinquisito Trump lo ha scavalcato, addirittura distanziandolo. Insomma, per il Partito democratico americano adesso è vera emergenza e, oltre alla base, anche diversi grossi calibri dell’establishment liberal stanno cominciando a prendere le distanze da Biden.
Lo stesso Presidente, con tutta evidenza scosso dai quei segnali e dai consigli sino a ieri inascoltati interni alla stessa diplomazia di casa, ha dovuto precipitosamente cambiare rotta in piena corsa. Già martedì, prima del voto dell’Onu, fiutando l’aria che tirava, aveva cercato di ammansire i critici internazionali muovendo le sue prime critiche di un certo peso al governo israeliano. Ma come spesso gli accade, metà a fare e metà a disfare. «Israele ha l’Unione Europea – ha detto – ha l’Europa e ha la maggior parte del mondo che lo sostiene. Ma sta iniziando a perdere quel sostegno, a causa dei bombardamenti indiscriminati che conduce». Ed è il vantato sostegno dell’Unione Europea al voto Onu –fronte occidentale ormai in frantumi- che lo colpirà più duramente. Dopo qualche ora, i risultati del voto Onu lo hanno smentito clamorosamente, con Usa e Israele sono stati ridotti all’angolo del resto del pianeta. Insomma, una clamorosa debacle della diplomazia americana.
Ora le critiche interne alla componente sociale democratica stanno dilagando, con alcuni temi chiave, difficilmente giustificabili dall’inquilino che lo hanno votato alla Casa Bianca. Joe Biden, che vende (o per meglio dire regala) proiettili anche al fosforo bianco, e bombe da una tonnellata per ‘autodifesa’, sono la contestazione più facile e diffusa. Con Biden che dovrebbe spiegare a chi si occupa di politica, le sue tardive preoccupazione sui «bombardamenti indiscriminati» su Gaza. ‘Preoccupazione’ che non esisteva quando si è trattato di stanziare 14,3 miliardi di dollari per nuove armi a Israele. O quando ha aggirato il Congresso, per concedere urgentemente 100 milioni di dollari, dai fondi speciali della Casa Bianca, sempre a Israele. E sempre per comprare proiettili per carri armati. Senza dimenticare gli altri 400 milioni di dollari, che il capo della democrazia più importante del mondo vuole ancora concedere.
Per il governo di Netanyahu, la risoluzione adottata dall’Assemblea generale dell’Onu, che si è espressa per un ‘cessate il fuoco’ a Gaza, vale quanto la carta straccia. Lo ha detto, di fatto, il Ministro degli Esteri Eli Cohen. «Israele continuerà la guerra contro Hamas – ha dichiarato il ministro – con o senza il sostegno internazionale». Posizione dettata dal premier che sa che la fine della guerra sarà anche la fine della sua carriere politica. Che già Israele -pur sotto shock e in guerra, sta iniziando a valutare. Problemi interni allo stato ebraico, in parallelo a quelli della presidenza Biden. Emergenza guerra ancora a bombardamenti a carri armati, ma prima o poi costretta ad esaurirsi. Ed allora Netanyahu dovrà sottoporsi al giudizio della nazione. E tutte le previsioni sono che lo cacceranno. Già nelle segrete stanze, il governo che lui cerca di tenere assieme col collante della guerra, dà segni di fibrillazione.
Secondo Haaretz, quotidiano liberal di Tel Aviv, si è già aperta una feroce lotta per la sua successione. Il pretendente più pericoloso per tutti sarebbe Yoav Gallant, il duro supergenerale, attualmente Ministro della Difesa. Gallant è un tipo ambizioso, che dall’inizio della crisi di Gaza aveva una idea fissa: attaccare con un’azione lampo Hezbollah e mettere il sud del Libano a ferro e fuoco, per risolvere una volta per tutte il problema della milizia sciita che minaccia l’ebraica ‘Alta Galilea’. Un piano che era ritenuto ‘esagerato’ e pericoloso persino da Netanyahu. Che, infatti, ha inserito nel governo di guerra, due ‘ex generali controllori, come Benny Gantz e Gadi Eisenkott, e tenere a bada la banda scoordinata e pericolosa del suo governo della destra messianica armata e oltranzista. Il primo, Benny Gantz, viene segnalato anche come possibile aspirante premier.
E alla guerra di Gaza corrisponde anche «una guerra politica interna israeliana, senza esclusione di colpi», scrive Haaretz. Netanyahu e Gallant con mire libanesi, sarebbero in rotta di collisione e quest’ultimo -denuncia dei tifosi rimasti al premier- «briga per fargli le scarpe». Considerando che uno è il premier e l’altro è il Ministro della Difesa, diventa facile capire almeno in parte lo sbandamento americano sugli obiettivi militari immediati, e su quelli politici del prossimo futuro di Israele. Capirli e poi fidarsi. Troppo anche per Biden che potrebbe finalmente decidersi ad arrabbiarsi invece di assecondare certi personaggi a caro, carissimo prezzo.
A completare il quadro, il britannico Guardian, che in un suo articolo, riporta le parole del leader dell’opposizione, Yair Lapid. L’ex Primo ministro si dice convinto che Netanyahu stia sfruttando la guerra per farsi la campagna elettorale. Quando questa crisi finirà, si andrà alle urne. E allora, potrà sembrare disumano, ma per qualcuno tornerà conveniente: il sangue di 20 mila palestinesi, in cambio della sua rielezione.