Potenziamento militare nell’Artico, rischi geopolitici Usa-Russia e minacce ambientali

Il 3 agosto, il Senato Usa ha deciso una maggiore presenza militare in quella regione con l’«Artico Commitment Act». La delibera propone “una presenza per tutto l’anno della Marina e della Guardia Costiera nella regione artica”, e si concentra anche sulla concorrenza degli Stati Uniti con la Russia nella regione, il dettaglio su ‘Pagine Esteri’.
Con Mosca che su quel fronte tra i ghiacci che si stanno sciogliendo, si era mossa molto prima.

Da Limes, carta di Laura Canali

«Artico Commitment Act»

Il Senato degli Stati Uniti sollecita propone “una presenza per tutto l’anno della Marina e della Guardia Costiera nella regione artica”. E, nella ‘sezione 7 ‘ dell’atto chiede esplicitamente «l’eliminazione del monopolio russo sulla navigazione artica». Navigazione ma non soltanto.

Ambasciatore artico Usa

Ed ecco che il segretario di Stato Antony Blinken annuncia che ci sarà un nuovo ambasciatore generale per la regione artica, gli esperti avvertono che in un momento in cui le tensioni tra Stati Uniti e Russia stanno aumentando e la minaccia dei cambiamenti climatici cresce, un accumulo di forze militare in quella parte di mondo comporta nuovi rischi geopolitici e ambientali.

Attenti all’Orso bianco

Sempre da Pagine Esteri scopriamo che il Piano strategico della Marina Usa pubblicato nel gennaio dello scorso anno spiega e avverte: «Le opinioni contrastanti su come controllare nell’Artico le risorse marine e le rotte marittime sempre più frequentate, gli incidenti militari, i conflitti e le ricadute della concorrenza tra le principali potenze, hanno tutte il difetto di minacciare gli interessi e la prosperità degli Stati Uniti».

Anche la Nato schierata

Da altra fonte, Limes di ben quattro anni fa, memoria di «Trident Juncture 2018», imponente esercitazione in Norvegia che coinvolge tutti i membri dell’organizzazione, 50 mila militari e oltre 10 mila mezzi terrestri e aeronavali. «Recupero delle capacità belliche e delle dottrine necessarie ad arginare un’eventuale calata dei russi da nord verso l’Oceano Atlantico». Ovviamente a giurare che lo scopo «è di contenimento, non di occupazione».

La militarizzazione dell’Artico

Ancora da Pagine Esteri. La ricercatrice Gabriella Gricius ammette che un rafforzamento degli Stati Uniti alimenterà l’attrito con la Russia. «La maggiore presenza militare degli Usa nell’Artico, potrebbe essere vista come una provocazione dalla Russia e comportare un aumento delle esercitazioni militari russe», ha aggiunto. In passato il Consiglio Artico ha gestito la cooperazione di vari paesi e nazioni indigene sui rischi geopolitici e climatici ma con l’invasione russa dell’Ucraina, il consiglio ha sospeso le sue attività.

La Russia va sott’acqua

Ed ecco che Mosca, pur alle prese con troppi calcolo militari sbagliati in Ucraina, ha rinnovato almeno quattro siti per armamenti nucleari nella penisola di Kola con la modernizzazione della componente subacquea della flotta russa. Il nerbo della Marina russa resta incentrato sui sottomarini e sui grandi battelli a propulsione nucleare concepiti per il lancio di ordigni atomici. Ma la perdita dei cantieri ucraini e baltici hanno frenato la capacità russa di adeguare questa particolare componente delle sue forze navali.

Artico russo al 50%, se resiste

L’Artico russo costituisce circa il 50 percento dell’intero subcontinente e «non è quindi pensabile che Mosca non può essere rimossa dall’Artico e continuerà ad essere un attore chiave nella regione», spiegano geografi e scienziati. Che contemporaneamente avvertono: «un potenziamento militare statunitense nell’Artico minaccia di esacerbare il cambiamento climatico». «La Marina ha pubblicato un piano omettendo riferimenti alle sue navi e aerei da combattimento, le due principali fonti di inquinamento delle forze armate Usa». E non soltanto.

I segreti militari inquinanti

Gran parte dell’impatto delle emissioni militari rimane sconosciuto grazie a una scappatoia nell’accordo di Parigi sul clima che esenta i governi dal segnalare le emissioni dei loro mezzi militari. Il Dipartimento della Difesa e vari rami delle forze armate statunitensi ha recentemente pubblicatopiani di adattamento climatico, ma il contenuto si concentra sull’adeguamento delle operazioni, piuttosto che sulla riduzione delle emissioni.

Fare la guerra inquina

Secondo uno studio, il 30 percento delle emissioni militari provengono da “installazioni”, l’uso di energia in basi e altri impianti. Mentre l’altro 70 percento è generato da “emissioni operative” o dall’uso di energia durante le attività di addestramento, missioni, trasporti e altre attività. Pertanto, l’aumento delle attività militari nell’Artico si tradurrà in un aumento inevitabile dell’inquinamento. Gli aerei in particolare contribuiscono al 70 percento delle emissioni operative.

Il clima arma ammazza tutti

«Nonostante la frenesia dei media per la militarizzazione e il conflitto nell’Artico, il cambiamento climatico è la minaccia più grande e pervasiva per la regione», denuncia Gabriella Gricius. Pensare che il cambiamento climatico, dice, dovrebbe essere un’opportunità di cooperazione. «Gli Stati Uniti, in particolare, dovrebbero e possono svolgere un ruolo importante sia nel sostenere le iniziative locali in Alaska sia nell’unire progetti di cooperazione tra scienziati, diplomatici e altri attori nella regione». Ma questo, più che un dato scientifico, risulta un speranza.

Ossessione Giuk gap riscalda Artico

Da Pagine Esteri nuovamente a Limes. Il dibattito in Occidente sulla pericolosità del riarmo russo. Navi, sottomarini e aerei russi nel più freddo braccio di mare a cavallo di Oceano Atlantico e Artico. A dividere i due bacini è il Giuk gap, il varco a doppia entrata fra Groenlandia, Islanda e Regno Unito, le cui iniziali in inglese, nell’ordine, compongono appunto l’acronimo Giuk. Concepito durante il secondo conflitto mondiale e affermatosi in piena guerra fredda, il concetto di Giuk gap riappare oggi nei dibattiti dei militari e dei pensatoi sia americani sia della Nato.

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