
Parlando al National Press Club di Washington, il capo dello Stato maggiore congiunto Milley ha detto che per il 2027, Xi vorrebbe che «l’Esercito popolare di liberazione cinese sviluppasse la capacità militare per unificare Taiwan». Non solo: l’alto ufficiale ha tenuto a specificare che «Pechino, tra quattro anni, sarà pronta ad attaccare in qualsiasi momento». Ma, per fortuna, ammette il generalissimo, «non è detto che lo farà necessariamente». Nel dubbio il richiamo di Milley alla Casa Bianca e al Pentagono affinché s’investa subito, e massicciamente, nelle tecnologie di ultima generazione applicate alla Difesa.
Solo un impegno di questo tipo, sostiene il capo di Stato maggiore, può avere un impatto decisivo sul principio di deterrenza. «Più velocemente ci muoveremo in questa direzione – ha detto Milley- e più saremo in grado di mantenere la nostra supremazia militare rispetto alla Cina».
Di fatto l’alto ufficiale riprende, aggiornandolo, un tema che era già stato al centro di un accanito dibattito, dentro il Congresso. In audizione alla Sottocommissione del Senato, il Segretario di Stato, Antony Blinken, aveva rivelato i dossier della Cia su Taiwan. In particolare, il braccio destro di Biden, aveva ammesso che l’Amministrazione era a conoscenza di un report, in cui si diceva che la Cina avrebbe attaccato l’isola separata entro il 2027. L’informazione era stata trasmessa personalmente dal direttore della Cia, William Burns. Ovviamente, visto il contesto, cioè la richiesta di fondi al bilancio federale, Blinken aveva tutto l’interesse a dipingere la situazione in modo drammatico. Nell’occasione, ha chiesto 63,1 miliardi di dollari per il Dipartimento di Stato, «a causa della minaccia acuta della Russia e della sfida a lungo termine della Cina». I Repubblicani lo attaccato duramente perché (pare) che di tutta questa massa di dollari, nell’Indo-Pacifico arrivino solo le briciole e che Taiwan non sia manco nominata. Una pezza ce l’ha messa il Congresso, con una legge quadriennale, che preleva due miliardi di dollari dal bilancio della Difesa. Ma il problema resta l’arretrato.
Ci sono 19 miliardi di dollari di armi americane, ordinate e mai arrivate nell’isola. Blinken ha detto (e questo lo sapevamo) che il problema non sono i soldi, ma la capacità di produrle. I magazzini sono vuoti, perché tutti i depositi sono stati saccheggiati per rifornire l’Ucraina.
Il South China Morning Post di Hong Kong, elenca una serie di altri autorevoli pareri ‘strategici’, da parte americana, che rendono ancora più imprevedibile qualsiasi evento nell’area di crisi considerata. L’ammiraglio Michael Gilday, capo delle Operazioni navali Usa, per esempio, è stato più pessimista. La sua analisi lo porta a esprimere grande cautela: in sostanza, il Pentagono non dovrebbe escludere, aprioristicamente, «che si aprano finestra di opportunità, tali da consentire alla Cina di invadere Taiwan anche nel breve periodo». Ancora più scalpore ha fatto un memorandum che doveva rimanere solo per uso interno, elaborato dal generale dell’aviazione Mike Minihan. «Combatteremo entro il 2025 con la Cina -ha sostenuto Minihan – tutti gli indizi vanno in questa direzione». E ha aggiunto che, il prossimo anno, a Taipei, si andrà alle elezioni, mentre subito dopo gli americani saranno ‘distratti’ dalla lotta per la Casa Bianca.
Comunque, tanto per far capire il clima che si sta creando dentro il Pentagono, il generale ha esortato tutto il personale a recarsi al poligono di tiro, «sparare un intero caricatore e cercare di mirare alla testa». Beh, se questo è il risultato dell’intelligenza umana, non sappiamo proprio quale successo potrà avere quella artificiale.