«Soltanto fra molti anni capiremmo, forse, quanto la guerra sia stata devastante per tutti noi. Anche per quelli che si credono fuori, lontani, appartenenti ad un’altra civiltà, ad altri valori e destini. Questa violenza senza limiti, quegli orribili massacri hanno sconvolto il nostro modo di essere, lo stesso concetto di bene e di male».
Lo sfogo accorato di un caro collega, Adriano Baglivo del Corriere della Sera, raccolto da uno dei maestri del giornalismo italiano, Ettore Mo nel suo libro ‘Sporche guerre’, ambedue scomparsi. Ettore scriveva «i corpi dei nostri colleghi sono disseminati ovunque, sulle colline, le montagne, le rive dei fiumi, i parchi-cimitero della Slovenia, della Bosnia Erzegovina, e nelle terre di nessuno».
Non puoi tentare di raccontare il particolare della televisione in guerra senza cercare di raccogliere le voci degli amici sparsi in quell’enorme paese di morti. Giornalisti, e prima ancora cine e foto reporter, i dannati delle immagini. Per la verità, alcuni di loro, giornalisti lo sono diventati soltanto dopo morti. La corporazione tanto è avara in vita quanto è prodiga di affiliazioni postume. In guerra, già lo abbiamo detto, in genere si muore per un frammento visivo di un dramma lontano da offrirvi all’ora di cena.
La Rai in questo campo -parlo dio allora-, ha pagato per intero il prezzo di essere «servizio pubblico», di dover arrivare dove altri non c’erano. Spero sia ancora così ma non ho notizie e certezze. Allora, 7 vittime in poco più di dodici mesi, a cavallo tra il 1993 e il 1995. E gran parte di quei morti stavano dietro a quella maledetta lampada di Aladino dei nostri bisogni casarecci di emozioni, quando sono stati colpiti. Nell’ordine di sepoltura, voglio ricordare per primi voi, martiri delle immagini in questo modestissimo «Spoon river» personale.
Ota e D’Angelo, gente di frontiera tra Trieste e le terre slave lacerate dalla guerra. Caro Sacha e caro Dario, insieme a Marco Lucchetta vi siete fatti fregare dalle lacrime dei bambini di Mostar est, avete voluto essere lì tra loro quel pomeriggio in cui i croati sparavano come ossessi, e siete esplosi assieme ad una granata in quel brutto cortile in cui, poi, sono venuto spesso a trovarvi e che adesso per me diventa troppo lontano. L’altro fratello balcanico, Hrovatin, mi ha salutato a Sarajevo per andare in Somalia a farsi ammazzare, una settimana dopo assieme ad Ilaria Alpi. Caro Miran, erano bellissime le immagini che tu hai girato, prima di quei colpi che vi hanno ucciso. Ragazzi, vi voglio sempre bene e ancora mi mancate. Assieme credevamo nella utile follia di quello che stavamo facendo.
Tanti nomi dimenticati per questo saluto che non vuol essere un epitaffio. «Tutti, tutti ora dormono, dormono sulla collina» ha scritto Edgar Lee Master nella sua «Antologia di Spoon River»
MOSTAR, TRENT’ANNI E OLTRE
Documentario realizzato dalla Struttura di programmazione della Sede di Trieste, in occasione del trentesimo anniversario dalla tragica scomparsa dei tre inviati Rai Luchetta, Ota e D’Angelo il 28 gennaio del 1994, mentre per conto del TG1 erano in missione a Mostar per raccontare la guerra nei Balcani. Tra le persone intervistate, dopo l’intervento iniziale della Presidente Rai Marinella Soldi, vi sono i familiari di Luchetta, Ota e D’Angelo e personaggi di spicco del giornalismo locale e internazionale: Maurizio Calligaris, Riccardo Iacona, Giovanni Marzini, Fulvio Gorani, Paolo Rumiz, Ennio Remondino.