
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a Kiev per celebrare con il presidente Zelensky la ‘Giornata dell’Europa’ contro la festa della vittoria della Russia (non di Putin), e i suoi 20 milioni di morti contro il nazismo. Trovata che significa poco ma offende molto. Nel frattempo, il parlamento Ue riunito a Strasburgo in sessione plenaria approva a larghissima maggioranza la procedura d’urgenza avanzata dal gruppo dei Conservatori e quello dei Popolari sul sostegno militare all’Ucraina. Ma gli scenari politici risultano stravolti. E sconvolgenti.
Il testo consente agli stati dell’Unione di impiegare le risorse del ‘Fondo di coesione sociale’ e del Pnrr per sostenere l’industria militare. Oltre alle destre, hanno votato a favore anche gli europarlamentari dei Socialisti e Democratici, cui aderiscono gli eletti del Pd. Contrari i parlamentari delle sinistre riuniti nel Gue (Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica) e quelli del Movimento 5 Stelle, che ancora non fanno parte di nessun gruppo, in attesa che i Verdi europei decidano sulla loro richiesta di adesione.
Il voto di ieri riguardava la procedura, ma il diavolo è in quei dettagli che si nasconde. Il fatto che sia passata la questione d’urgenza esclude che l’atto verrà messo ai voti con emendamenti che non siano stati già accolti dalla Commissione. Eufemisticamente ‘contradditoria’ la delegazione del Pd, che ha votato a favore ma dicendosi contraria «all’utilizzo di qualunque fonte di finanziamento proveniente dalle risorse del Piano nazionale di ripresa e dei fondi di coesione». Qualche grosso problema di logica. Gli M5S promettono opposizione alla richiesta di procedura accelerata che risulta già decisa.
Mentre qualcuno dall’Italia, rileva Giuliano Santoro sul Manifesto, legge e rilancia l’articolo 41.2 del Trattato che regola severamente «l’uso di fondi dal bilancio per spese derivanti da operazioni aventi implicazioni militari o di difesa»
Di fatto il Parlamento europeo sta per ratificare la possibilità di utilizzare i fondi di coesione il fondo sociale europeo e il Piano nazionale di ripresa per produrre missili e munizioni. E tra i 27 riflessi nazionali prevedibili, la possibilità di cambiare i Pnrr a piacimento e a convenienza politica di parte.
Per le cose di casa nostra, ad esempio, la possibilità del governo Meloni di poter sostenere scelte consentite dal voto del parlamento europeo, compreso quello dei parlamentari Pd.
Verso Europa minima, influenzata dalle leadership nazionali che hanno problemi, interessi, blocchi produttivi, come quello degli armamenti, interni ai propri confini e che impongono le loro mediazioni alla Commissione. Un arretramento politico evidente dalla stagione tragica della pandemia. Lo stato d’eccezione determinato dalla guerra, hanno ribaltato il segno politico della legislatura. Tutti elettoralmente europeisti, ma di quale Europa? come giustamente si chiede Massimiliano Smeriglio, eurodeputato indipendente. L’Europa delle tecnocrazie atlantiste? Quella delle nazioni e dei nazionalismi, come la intendono Orban e la Meloni? Oppure quella comunitaria democratica e sovrana?
Dalla guerra al Covid a quella vera: meno sanità e corsa al riarmo