Tutte e attenzioni dell’Occidente per l’Ucraina e gli Usa hanno sguarnito Taiwan

A Taiwan tornano, precipitosamente, i soldati americani. Ma mancano le armi. Ordinate otto anni fa devono ancora arrivare, perché i depositi Usa sono vuoti. Qualcuno dice che cannoni, munizioni e missili sono stati dirottati in Ucraina. E intanto la Cia rivela che i piani di Pechino prevedono l’annessione dell’isola, entro il 2026. Con le buone o con le cattive.
‘Lato debole della difesa’
Nel basket e nel rugby si chiama ‘lato debole della difesa’, quello dove non c’è la palla e, per questo motivo, quasi sempre viene trascurato o, addirittura, lasciato sguarnito. In geopolitica, la stessa cosa avviene per le aree di crisi. Quelle in ebollizione (l’Ucraina), a volte fanno dimenticare quelle che sembrano (ma solo momentaneamente) raffreddarsi, come Taiwan.

Sud-est asiatico, il fuoco sotto la cenere

Nel Sud-est asiatico, il fuoco cova sotto la cenere e lo scontro tra Stati Uniti e Cina cresce, in modo esponenziale. In sostanza, mentre l’attenzione dell’intero pianeta è rivolta alla carneficina in atto tra Donbass e Mar Nero, nell’Indo-Pacifico continua il braccio di ferro intorno a Taipei.

‘Dead-line’ 2026

Rumors sempre più insistenti da Washington, parlano di una data, anzi, di una vera e propria ‘dead-line’: il 2026, come la data-limite che sarebbe stata fissata dalla leadership cinese per riunificare l’isola. Le informazioni raccolte dai servizi di Intelligence americani e la straordinaria accelerata, con la quale sono state sviluppate le forze aeronavali di Pechino, testimonierebbero la validità di questo scenario. Comunque sia, il Pentagono, adesso, non vuole farsi trovare impreparato, perché, negli Stati Uniti, già divampano le polemiche. Politici, analisti e commentatori, di varia estrazione, pensano che lo straordinario impegno finanziario profuso per sostenere l’Ucraina abbia distratto importanti equipaggiamenti, destinati a proteggere Taiwan.

Fonti preoccupatissime del Congresso, sostengono che i ritardi nella consegna di armi e altro materiale bellico americano, alle forze armate dell’isola, ammontano a quasi 19 miliardi di dollari.

Missili con otto anni in ritardo

Ordinati otto anni fa, nessuno dei 208 missili anticarro ‘Javelin’ o dei 215 antiaerei ‘Stinger’ è mai arrivato. A rilento anche la consegna dei 65 F-15 ordinati. La ‘Commissione di revisione economica e di sicurezza Usa-Cina’, un organismo di audit e monitoraggio del governo, ha anche rilevato la mancata spedizione dei pezzi di artiglieria semovente e degli obici. «La deviazione delle scorte esistenti di armi e munizioni verso l’Ucraina – scrive la Commissione – e i problemi della catena di approvvigionamento, legati alla pandemia, hanno esacerbato un considerevole arretrato nella consegna di armi già approvate per la vendita a Taiwan, minando la prontezza a difendersi dell’isola». Nonostante questa presa di posizione, molto chiara, che di fatto accusa il governo americano di non aver saputo programmare la cessione di sistemi d’arma agli alleati, il Pentagono si giustifica.

Scuse e sottovalutazioni

L’ex portavoce John Kirby e Doug Bush (Responsabile acquisizioni dell’US Army) dicono che le colpe nei ritardi sono dovute alla crisi nella catena di approvvigionamento. Anche se, invece, a tutti appare chiara una sottovalutazione strategica del ‘peso’ delle aree di crisi. Semplicemente, non si è tenuto conto che due enormi ‘hot-spot’ avrebbero potuto esplodere contemporaneamente (Ucraina e Mar cinese meridionale) e che le risorse militari per affrontarle non sarebbero state sufficienti.

‘Consiglieri militari’ da Kiev a Taiwan

Tenendo conto di questo quadro, l’Amministrazione Biden ha deciso di quadruplicare il numero dei consiglieri militari americani presenti a Taiwan. Secondo ‘funzionari che hanno familiarità con i fatti’, nell’arco di qualche mese dovrebbero arrivare a 200. È probabile che si tratti di esperti di missilistica (per le batterie di Patriot), guerra elettronica e telecomunicazioni satellitari. Il contingente, però, potrebbe rapidamente allargarsi inglobando anche truppe di terra. Come, d’altro canto, avveniva prima del 1979, quando, con la normalizzazione dei rapporti diplomatici con la Cina e con la firma dei protocolli d’intesa su Taiwan, vennero ritirate tutte le unità. Ma ora, il deterioramento delle relazioni politiche, prima con Trump e poi, più pesantemente, con Joe Biden, ha portato a un ritorno della presenza militare Usa. Un impegno che si traduce, anche, nei campi di addestramento per i soldati taiwanesi organizzati nel Michigan, a Camp Grayling, dall’US Army.

Ritardi ed errori di valutazione

Gli americani, a Taiwan, sono in ritardo e lo sanno. Ma, probabilmente, hanno fatto male i loro conti anche nei rapporti di alleanza con molti altri Paesi, con i quali non riescono a onorare gli impegni sottoscritti a proposito delle campagne di riarmo. Il sovrapporsi di pandemia, guerra in Ucraina, crisi delle materie prime e deglobalizzazione, ha cortocircuitato il rapporto tra produzione, disponibilità e vendita di armamenti di ultima generazione. Gli Stati Uniti hanno dovuto, pericolosamente, saccheggiare le loro scorte, che ora devono ricostituire. Con priorità assoluta. Prima il vice Segretario di Stato, Wendy Sherman, e poi il Ministro della Difesa, Lloyd Austin, hanno addirittura istituito speciali commissioni per cercare di risolvere il problema.

Forse, a nessuno sta passando per la testa che il modo migliore, per sostenere l’indipendenza di Taiwan, potrebbe essere quello di chiudere la guerra in Ucraina. Si troverebbero, così, subito le risorse, per fare diventare forte il ‘lato debole della difesa’.

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