«Alla fine di gennaio il segretario di stato americano Antony Blinken ha compiuto il suo quarto tour africano visitando Capo Verde, l’Angola, la Costa d’Avorio e la Nigeria». Ce lo ricorda Marco Santopadre, distratti come siamo dagli inutili via vai con Netanyahu. Ma i principali competitori geopolitici di Washington non sono rimasti a guardare.
«Se la Russia ha scelto da tempo la carta militare per accreditarsi come potenza in Africa, sembra che ora anche la Cina voglia capitalizzare la sua enorme influenza economica per conquistare punti anche sul piano militare e dotarsi di infrastrutture stabili». Pechino è alla ricerca di approdi permanenti per la sua flotta da guerra nell’Africa Occidentale dopo averne ottenuto anni fa uno a Gibuti, sul Mar Rosso, cioè dall’altra parte del continente.
Nei giorni scorsi è stato il Wall Street Journal a suonare. Il quotidiano che nell’agosto del 2023 l’allora presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba (succeduto al padre Omar Bongo) aveva confessato al vice consigliere alla Sicurezza Nazionale statunitense di aver promesso al leader cinese Xi Jinping una postazione militare sulle coste del paese. America ‘irritata’ e lo sprovveduto Ali Bongo Ondimba Finer poche settimane dopo era stato deposto da un colpo di stato militare. Forse un caso, forse no.
Nei confronti della giunta golpista, Washington era partita con mille attenzioni, per poi prendere le distanze dal nuovo regime. E ora Washington teme che anche il regime militare sia possibilista sulla concessione di una base sull’Atlantico alla marina da guerra cinese. Una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale e ai propri interessi strategici.
La Cina è già il principale partner commerciale del Gabon, paese con grandi riserve petrolifere e giacimenti di manganese, minerale esportato soprattutto a Pechino. Washington preme contro, puntando sul vicino prossimo, Guinea Equatoriale. Ma anche lì Pechino gestisce già un porto commerciale, con uno militare ‘solo quando serve’, per ora, ma le trattative proseguono.
Attualmente, la Cina possiede o gestisce porti e terminali commerciali in un centinaio di località in oltre 50 paesi distribuiti in tutti i continenti, ma la proiezione militare internazionale della Repubblica Popolare Cinese è ancora insignificante se confrontate con Washington conta su 750 infrastrutture militari all’estero tra permanenti e temporanee.
Secondo un rapporto del Pentagono, oltre che nel continente africano, Pechino starebbe cercando di ottenere infrastrutture militari in Cambogia, Tailandia, Sri Lanka, Pakistan e Indonesia. Inoltre la Repubblica Popolare, negli ultimi anni, ha potenziato la propria capacità di realizzare navi da guerra, tanto che ha già superato Washington in quanto a capacità di varare nuovi vascelli.
Nel gennaio del nuovo anno il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha visitato la Costa d’Avorio, l’Egitto, il Togo e la Tunisia, firmando nuovi accordi con i rispettivi governi. Il Pentagono invece sta premendo sui governi del Ghana, Costa d’Avorio e del Benin per la realizzazione di tre nuove basi militari che dovrebbero ospitare altrettante squadriglie di droni ufficialmente destinati al contrasto ‘dell’insorgenza islamista’.
La Russia ha aumentato la cooperazione con alcuni dei paesi del Sahel usciti dall’orbita francese dopo i colpi di stato militari che hanno destituito i leader vicini a Parigi. In particolare Mosca ha siglato una serie di accordi economici e militari con il Mali e poi con il Burkina Faso. In quest’ultimo paese Mosca si è impegnata a realizzare nei prossimi anni anche una centrale nucleare.
I regimi militari di Mali, Burkina Faso e Niger – avverte sempre Marco Santopadre – intendono creare una moneta unica regionale. I tre Paesi, che di recente hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), «sono impegnati in un processo di recupero della loro sovranità totale». Ma l’Aes è nata come un patto di difesa tra i tre paesi che hanno deciso di unire le loro risorse militari per combattere i gruppi ribelli o jihadisti e bilanciare la presenza militare francese e statunitense nell’area.
A fine gennaio, infine, Mali, Burkina Faso e Niger si sono ritirati dalla “Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale” (Cedeao o Ecowas), un’organizzazione regionale accusata di essere al servizio degli interessi di Parigi.
Dopo i colpi di stato la Cedeao, in evidente ‘coordinamento’ con la Francia, ha imposto pesanti sanzioni economiche prima al Mali e poi al Niger, e nell’agosto del 2023 è giunta a minacciare un intervento militare contro Niamey per reinsediare il presidente Mohamed Bazoum, deposto e arrestato dai militari.