A contendersi l’idea del primo carro armato sono in molti. Allo scoppio della Grande Guerra (la prima guerra mondiale), l’accoppiata tra filo spinato e mitragliatrici aveva inchiodato le fanterie nelle trincee: occorreva un mezzo in grado di spianare i reticolati e proteggere dal fuoco le fanterie che avanzavano. Una prima soluzione fu escogitata dall’esercito inglese che combatteva in Francia: nel massimo segreto fu progettato un trattore cingolato coperto da una corazza e armato di un paio di cannoni e mitragliatrici con cui superare gli ostacoli della terra di nessuno.
Il primo carro fu concepito insomma come apripista della fanteria. Si trattava però di un mezzo ancora lento e pesante e soprattutto da perfezionare dal punto di vista meccanico. Nell’estate del 1918 nessuno sperava ancora di concludere la guerra in breve e si ordinarono migliaia di carri armati alle industrie per una gigantesca offensiva nella primavera del 1919. Fortunatamente la guerra finì prima del previsto e del carro armato in seguito si parlò poco.
Le tre grandi novità belliche ereditate dalla Prima Guerra furono comunque il carro armato, l’aereo da combattimento e il sommergibile, di cui oggi sappiamo quale importante ruolo giocarono nella Seconda.
Alla metà degli anni Trenta molti teorici sostenevano ancora l’importanza della cavalleria disdegnando quei rumorosi e goffi scatoloni di ferro chiamati carri armati: chi li possedeva continuava ad impiegarli come fortezze mobili sul campo di battaglia soprattutto per appoggiare la fanteria. Pochi ne avevano compreso l’importanza se usati ‘in massa’, cioè da unità composte da centinaia di carri, seguiti da truppe su automezzi. Furono i tedeschi i primi, nel settembre 1939, a sconfiggere la Polonia in meno di tre settimane.
Era nata così la guerra-lampo: ad un violento bombardamento aereo o terrestre seguiva l’attacco dei carri. Alla sconfitta della Polonia seguì quella della Francia (giugno 1940) più o meno nello stesso modo. La cosa paradossale però fu che i francesi in realtà possedevano più carri dei tedeschi, ma li avevano sparsi lungo tutto il fronte: quando tentarono di raggrupparli ebbero l’amara sorpresa di scoprire che i tedeschi avevano distrutto le ferrovie sulle quali trasportarli e che mancavano anche gli automezzi per rifornirli.
L’attenzione si concentrò allora sul carro armato in se, sul mezzo potentemente corazzato e armato, ma non tutti capirono completamente che invece si trattava dello strumento di una guerra nuova ed estesa, rapida e distruttiva, che a sua volta avrebbe dato luogo a nuove sfide.
Un’altra grande questione legata all’impiego dell’arma corazzata riguardava gli spazi: per condurre manovre ad ampio raggio, aggiramenti o accerchiamenti era necessario condurle in zone relativamente prive di ostacoli naturali quali fiumi, foreste o anche città. Erwin Rommel e Bernard Montgomery si affrontarono nel deserto del Nord Africa per lunghi mesi e in diverse battaglie, ma alla fine – nonostante l’abilità del comandante tedesco – gli alleati ebbero la meglio essenzialmente per due motivi: arrivarono dall’America nuovi carri armati e rifornimenti, mentre Rommel non solo non poté sostituire i mezzi distrutti, ma non ricevete più nemmeno rifornimenti. Nei grandi spazi del fronte orientale, nell’estate del 1943 intorno Kursk , si combatté invece la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia.
I tedeschi attaccarono i sovietici dopo aver concentrato una massa enorme di mezzi corazzati (circa tremila), ma lo sforzo si infranse perché i russi avevano organizzato diverse linee di resistenza poste una dietro l’altra e soprattutto, dopo il logoramento tedesco, ebbero a disposizione una riserva di carri intatta quasi pari al numero dei carri tedeschi distrutti. Dopo la battaglia cominciò un lungo arretramento tedesco che si sarebbe concluso a Berlino.
A partire dallo sbarco in Normandia (giugno 1944) cominciarono ad affluire nell’Europa occupata ingenti quantità di materiali bellici tra cui migliaia di carri prodotti negli Stati Uniti. I tedeschi invece dovettero far ricorso a tutti mezzi disponibili che erano però relativamente scarsi date le enormi perdite subite ad Oriente.
Nel dicembre del 1944, partendo dalla foresta delle Ardenne, i tedeschi tentarono un’ultima grande offensiva corazzata che aveva come ambizioso obiettivo di raggiungere la costa e in particolare i porti dove affluivano i rifornimenti alleati. Dopo un successo iniziale dovuto alla sorpresa – nessuno infatti immaginava che in pieno inverno fosse possibile attaccare in un settore fittamente boscoso –, l’offensiva però stagnò.
I tedeschi riuscirono a resistere fino ai primi mesi del 1945, ma la superiorità alleata, soprattutto nei rifornimenti, ebbe infine la meglio. L’ultima sorpresa la ebbero comunque i tedeschi che si accingevano alla difesa sul Reno: nonostante la distruzione di tutti ponti sul fiume, quello di Remagen casualmente si salvò. Pochi giorni dopo in realtà crollò nelle acque del Reno, ma il tempo era stato sufficiente all’armata di Patton per creare sulla riva tedesca una testa di ponte da cui lanciare migliaia di carri armati in Germania.