Come tipicamente avviene, in questi casi, la botta è arrivata all’improvviso, quando qualcuno si è accorto che, in un solo pomeriggio, un ‘cliente’ (si fa per dire) aveva ritirato (o cercato di farlo), in un colpo solo, l’astronomica cifra di 21 miliardi di dollari, in depositi e investimenti obbligazionari. A quel punto è stato allarme rosso. Tanto per capirci, se chi deposita un mucchio di dollari smobilizza tutto e scappa, significa che qualcosa non quadra più, per usare un eufemismo. Ergo: anche gli altri correntisti, risparmiatori e investitori, avuta una ‘soffiata’, non vedranno l’ora di riottenere i loro soldi indietro, per poi squagliarsi. In pratica, è quello che è successo alla banca californiana in un paio di giorni, dove si stima che si sia presentata agli sportelli, tra giovedì e venerdì scorsi, una massa di clienti che intendeva prelevare, e di gran corsa, 42 miliardi di dollari di depositi. Che non c’erano più.
Infatti, la Silicon Valley Bank, nel periodo delle vacche grasse, sfruttando i tassi bassi, aveva fatto il pieno di depositi e li aveva subito reinvestiti in ‘asset’ più lucrosi, principalmente obbligazioni e titoli del debito pubblico americano a lunga scadenza. Un affarone. Ma solo in teoria, perché poi, in pratica, una crisi planetaria dopo l’altra ha finito per rovinare tutto, creando le condizioni per il disastro finanziario. Colpevoli? Parecchi.
Ma siccome il crollo nasce dall’intreccio perverso tra l’inflazione fuori controllo e gli alti tassi d’interesse, decisi dalla Federal Reserve per combatterla, ecco che focalizzando la nostra attenzione su queste due aree, potremo farci un’idea delle origini del crollo. Dunque, mettiamola così: come nel 1929, le banche si sono messe a ‘giocare a carte’ con i soldi dei risparmiatori, pensando di vincere molto. E invece, in diversi casi, hanno perso. In particolare, la Silicon Valley, che si era ‘gonfiata’ cavalcando l’onda dell’industria “4.0” (elettronica, informatica, robotica, intelligenza artificiale), ha fatto il passo più lungo della gamba. Col giochetto inflazione-tassi d’interesse, i suoi investimenti obbligazionari si sono rivelati perdenti e congelati da scadenze troppo lunghe. Così, per evitare il suicidio finanziario, la banca ha cominciato a svendere i titoli, creando le premesse per la successiva ondata di panico. Non è bastato, perché, semplicemente, la Silicon non aveva la liquidità necessaria per ripagare i risparmiatori.
Non stiamo parlando di noccioline, ma di un istituto di credito da 200 miliardi di dollari, cioè 1/10 del Prodotto interno lordo dell’Italia.
Ecco perché il Presidente Biden ha voluto parlarne col Governatore della California, Gavin Newson. Non solo: soprattutto il Segretario al Tesoro, Janet Yellen, ha cercato di dare la sveglia ai ‘regolatori’ della ‘Federal Deposit Insurance‘ che, come riportava ieri il Wall Street Journal, «stanno mettendo all’asta la banca, come parte di uno sforzo più ampio per contenere le conseguenze del suo fallimento di venerdì». Lo Stato federale, insomma, non farà nessuna acquisizione per cercare di salvare il salvabile. Lo ha confermato la stessa Yellen, alla rete televisiva CBS.
I repubblicani, ma anche molti democratici, sono decisamente ostili a qualsiasi ipotesi di intervento in questo senso. Il motivo non è solo ideologico o di teoria economica, ma anche di opportunità, visto che la legge Usa assicura i depositanti fino a 250 mila dollari. Cioè, in pratica, i semplici cittadini. Importi decisamente superiori, infatti, riguardano imprese industriali, commerciali e organismi finanziari. E in questo caso, bisogna parlare di miliardi di dollari da far sborsare all’erario, ovverossia a tutta la popolazione. Una scelta pericolosa, in un anno pre-elettorale per le Presidenziali. C’è però un problema che il governo dovrà risolvere, se non vorrà alimentare ulteriori tensioni sociali.
Molte aziende-correntiste non assicurate, infatti, non saranno più in condizione di pagare salari e stipendi ai dipendenti e dovranno chiudere. L’indotto servito dalla Banca è molto importante per la catena di approvvigionamento, soprattutto perché produce beni e semilavorati ad alto valore aggiunto. Quindi, occorrerà trovare subito una soluzione, con la Silicon che andrà all’asta. Ciò che si riuscirà a raccattare, verrà impiegato per lenire le ferite delle molte aziende ‘startup’ inguaiate dal fallimento.
Sempreché il crac californiano non sia il primo atto di una rovinosa pandemia finanziaria, capace di dilagare a macchia d’olio in tutto il sistema bancario americano, per poi varcare anche le sponde dell’Atlantico. Non sarebbe la prima volta.
***
Il più grande fallimento bancario dal 2008 negli Stati Uniti, e domenica il governo degli Stati Uniti ha chiuso un’altra banca, Signature Bank, per cercare di evitare un ‘contagi’. Ma una banca di New York molto attiva nel settore immobiliare, è stata chiusa dalla Federal Deposit Insurance perché rischiava a sua volta di fallire.