
Il povero segretario di Stato americano Antony Blinken costretto a fare da marionetta nel tragico teatrino mediorientale. Su e giù per la sesta volta tra Israele della prepotenza Netanyahu a destra teocratica, e il mondo arabo amico che resta, ma sempre un po’ di meno. Israele lasciata all’opposizione interna che tenta di uscire dallo shock del 7 ottobre per salvare il Paese nel mondo. Per il ministro americano, priorità ai colloqui con vertici arabi amici: Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Giordania ed Emirati Arabi Uniti.
Il fallito tentativo di una tregua degli attacchi su Gaza per arrivare alla liberazione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. Ma le condizioni poste da entrambe le parti restano paralizzate da integralismi contrapposti. Al rilascio degli ostaggi civili e militari richiesto da Gerusalemme Hamas vorrebbe il ritiro militare israeliano dal Nord della Striscia, in cui Israele ha consolidato la propria presenza. Guerra per ora ‘scartamento ridotto’ (32mila vittime superate), mentre fame, carestia ed epidemie fanno la loro parte di vittime.
Con l’incubo dell’operazione militare a Rafah, approvato dal gabinetto di guerra israeliano in beffa alle sollecitazioni insistite di Biden. Con gli Stati Uniti che si scoprono a loro volta ostaggi impotenti.
Il tour mediorientale del segretario di Stato molto ‘ultima spieggia’ con alle spalle una catena di insuccessi. Senza esiti pubblicamente noti, anche l’incontro tra i capi dello spionaggio di Cia e Mossad, William Burns e David Barnea, sino alla risoluzione presentata da Washington al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sullo stop ai bombardamenti nell’exclave palestinese, bocciata da Russia e Cina, dopo aver utilizzato nei mesi scorsi il proprio potere di veto per bloccarne di simili, come quella presentata dall’Algeria a febbraio, sempre a sostegno di Israele, in diffuso isolamento.
E oggi alla riprova. Algeria, Malta, Mozambico, Guyana, Slovenia, Sierra Leone, Svizzera ed Ecuador hanno preparato una versione aggiornata, sostenuta dal gruppo arabo, che chiede un cessate il fuoco umanitario immediato per il mese di Ramadan che porti ad una tregua duratura. Si chiede, inoltre, «il rilascio incondizionato degli ostaggi e la rimozione di tutti gli ostacoli agli aiuti umanitari». In Europa intanto, i primi ministri di Spagna, Irlanda, Malta e Slovenia si sono detti «pronti a riconoscere lo Stato palestinese». L’Italia tace.
Ultimo tentativo su cui l’amministrazione Usa si gioca il residuo di credibilità mediorientale rimasto, quello di fermare l’invasione militare di Rafah. Gli americani dubitano dell’efficacia dell’operazione, definita da Blinken stesso nella visita al Cairo «un errore, non necessaria», utile solo a bloccare tutte le trattative in corso (molte di più di quante rese note), senza riuscire a inferire un colpo decisivo a Hamas, i cui vertici, non sono certamente rimasti prigionieri nella Striscia in attesa di essere catturati.
«Invadere Rafah dove è ammassato circa un milione di profughi palestinesi senza aver prima progettato una efficace catena di distribuzione di aiuti e accoglienza finirebbe per avere conseguenze colossali. Farebbe vacillare il sostegno internazionale, già critico, a Israele a partire dallo schema di alleanze con i paesi arabi progettato da Washington», avverte Lorenzo Noto su Limes. Mettendo a repentaglio la posizione americana regionale già sotto attacco, dalle basi siriane e irachene alle rotte marittime del Mar Rosso. E pretesto di una pericolosa escalation.
Timore chiave di Washington, la normalizzazione del mondo arabo con Israele. «La guerra a Gaza ha fatto emergere le contraddizioni tra il processo di riavvicinamento con Israele e la questione palestinese. Tradotto: gli arabi sono con Gaza ma non contro Israele». Ora a rischio piani accuditi per anni. Gli Emirati, legati a Israele dagli accordi di Abramo; Egitto, stretto alleato Usa accomodante con Israele, e Arabia Saudita, negoziato con Israele in corso e ora fortemente a rischio. Mentre procede la normalizzazione con l’Iran, con sponsor cinese.
L’accanimento militare israeliano sta mostrando la fragilità di queste intese, ora a rischio. Stati autoritari comunque costretti a guardare alle proprie opinioni pubbliche, equilibrismo tra i rapporti con lo Stato ebraico e il sentimento filopalestinese dei propri cittadini. Che non potrebbe reggere a una ulteriore strage a Rafah, assieme alla crudele agonia col blocco degli aiuti.
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