Turchia 2023, tra le mire imperiali ottomane del Sultano Erdogan e il crack

Allan Little, sulla BBC, traccia il riemergere della Turchia come nuova potenza globale. E le dedica un programma dal titolo molto significativo: “I nuovi Ottomani”. Il sultano del Terzo millennio? Recep Tayyip Erdogan, ovviamente, Presidente o, meglio, padre-padrone di un Paese dall’identità sempre più spuria.

‘Sublime porta’ ma girevole, a banderuola

Una ‘Sublime porta’, come si diceva una volta, divenuta vorticosamente girevole, capace di elaborare (e applicare) strategie politiche, economiche e diplomatiche fin troppo sorprendenti. La Turchia non tiene la barra dritta, ma la sposta a seconda di dove tiri il vento. E questo atteggiamento è sottolineato dal suo approccio cinico, anzi, da vera “stilita” della diplomazia, che emerge dal suo ruolo di mediazione nella crisi ucraina.

Erdogan Sultano

Erdogan è ambizioso e, sotto sotto, sogna (forse) i tempi belli di Solimano il Magnifico o quelli eroici dell’assedio di Vienna. Certo, in versione riveduta e corretta. L’Europa gli serve da retrobottega. I suoi occhi, partendo dal Mediterraneo orientale, guardano all’Asia centrale, fino al Turkmenistan. E anche oltre.

Atlantismo per sbarcare il lunario

Il suo atlantismo? Di convenienza. Quindi, tutto sommato, di questi tempi, visti i chiari di luna, abbastanza “sicuro”. Nel senso che Russia e Cina possono garantire sponde e business a prezzi da saldo, ma è grazie all’Occidente che si riesce a sbarcare il lunario.

Economia d’azzardo

Già, l’economia. Qui per Ankara cominciano i dolori. Erdogan ha “consigliato” alla sua Banca centrale una strategia monetaria d’assalto, all’ultimo sangue: tassi bassi, crescita a ogni costo e inflazione da neurodeliri, che il mese scorso ha toccato l’84 per cento. Risultato: gli altri sono in recessione, mentre la Turchia galleggia. Per ora. Ma il rischio che tutto il sistema-Paese faccia un botto è dietro l’angolo.

L’economia cresce ma l’inflazione esplode

L’economia è cresciuta del 3,9% nel terzo trimestre di quest’anno, in calo rispetto al 7,6% del trimestre precedente, ma l’inflazione è esplosa, rispetto a meno del 20% di un anno fa. Il Fondo monetario internazionale ha allora dettato regole di condotta  (aumento dei tassi d’interesse) che la Banca centrale turca ha ignorato, addirittura rincarando l’azzardo: il tasso ufficiale di riferimento che è sceso al 9% dal 16% che era. La lira si è deprezzata del 36% su base annua e gli spread sui credit default swap turchi, che assicurano gli investitori contro il rischio di insolvenza sovrana, sono scambiati sopra i 500 punti base, il che indica un pericolo considerevole. 

Tre sceriffi a pistole puntate

Anche le tre principali agenzie di rating internazionali – Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – hanno assegnato un rating B al credito della Turchia, suonando l’allarme. Erdogan fonde convinzioni religiose (vede i tassi come una forma di usura) a un’istintiva diffidenza verso le istituzioni finanziarie internazionali. Inoltre, sondaggi alla mano, si prepara alle elezioni generali del giugno 2023, cercando di acquisire un consenso “tutto e subito”. Cosa che implica l’obbligo di evitare politiche di austerità monetaria.

Conti da saldare dopo le presidenziali

Comunque, la popolazione dovrà pagare di sicuro per i sogni politico-nazionalistici del suo Presidente. Almeno dopo le elezioni, quando il “sultano” avrà incassato i dividendi delle sue scelte. Ma questa politica rivolta solo al mantenimento di una crescita elevata aumenta il rischio di instabilità finanziaria, facendo crollare il cambio della lira e mettendo a rischio default il Paese.

I soldi che mancano in cassa

Il 2023, insomma, si presenta come un anno in salita, che potrebbe riservare brutte sorprese. Specie se i nodi della precarietà finanziaria turca verranno al pettine tutti in una volta. Secondo il prestigioso think-tank americano ‘Stratfor’, «il FMI ha valutato che la Turchia probabilmente dispone di riserve di liquidità esterna insufficienti, il che significa che è a maggior rischio di instabilità finanziaria esterna». 

Valuta estera in negativo

Le riserve di valuta estera della Banca centrale turca sono fortemente diminuite in termini lordi e ora sono negative, una volta contabilizzate le passività. Inoltre, va aggiunto che il settore delle imprese potrebbe assistere a un aumento delle insolvenze nei prossimi anni”. In definitiva, se non è un bollettino di guerra poco ci manca. Erdogan, però, cerca di bilanciare il difficile momento economico con un attivismo diplomatico spregiudicato.

Il mercato degli spazi imperiali

Se in Ucraina Putin dovesse perdere, ritengono diversi analisti, i turchi potrebbero sfruttare i vuoti di potere creatisi in Siria e nel Caucaso meridionale. Senza il sostegno russo all’Armenia, Erdogan appoggerà l’Azerbaigian. Se, invece, il conflitto tra russi e ucraini si allungherà sine die, Ankara cercherà opportunisticamente di continuare a proporsi come “mediatrice disinteressata”. Acquistando energia a prezzi “politici” da Mosca e facendole da sponda, per aggirare le sanzioni.

Audacia e ricatto

Una triangolazione fruttuosa, visto che coinvolge anche altri Paesi. Allo stesso tempo Erdogan venderà armi ed equipaggiamenti all’Ucraina e terrà la Nato sotto la sua fibbia, ogni volta che ci sarà da prendere una decisione importante. Gli Ottomani, insomma, sono tornati. O, forse, non se n’erano mai andati.

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