Netanyahu a Roma. Nell’album di famiglia s’intravede il duce. Ambasciata d’Italia verso Gerusalemme?

Eric Salerno è un grande giornalista, ottimo scrittore, e nostro amico. Nato a New York da madre ebrea russa e da padre italo americano, è autore di molti saggi sulle sue esperienze di inviato speciale e di corrispondente del Messaggero da Gerusalemme (il suo ultimo libro, uscito da poco, s’intitola appunto Gerusalemme). Che oggi pone e noi italiani e al mondo un dubbio chiave.
Netanyahu da sempre per Gerusalemme capitale indivisibile di Israele. Viktor Orbán, tra pochi giorni annuncerebbe il trasferimento dell’ambasciata del suo paese da Tel Aviv alla città santa. Sarebbe il primo paese europeo a compiere il passo.
L’Italia con Meloni intende anticiparlo o seguirlo?

Saggezze popolari antiche

Due detti popolari vengono in mente leggendo l’intervista rilasciata a un giornale italiano dal premier israeliano Benjamin Netanyahu alla vigilia del suo contestato (in Israele, dagli israeliani) viaggio a Roma. «Le colpe dei padri non ricadono sulle testa dei figli», garantisce uno; «Il nemico del mio nemico è amico mio», spiega l’altro. Entrambe riportano indietro alla storia di Roma, dell’Italia, da una parte, e degli ebrei e della Palestina dall’altra.

‘Bibi’ e la destra sionista

“Bibi”, come viene chiamato da quelli che gli sono più vicino, il leader del governo più a destra della storia d’Israele, è figlio di Benzion Netanyahu, storico di professione e segretario di Vladimir Žabotinskij, quello che era il leader della destra sionista. Seguace di Benito Mussolini, non si è mai identificato formalmente con il fascismo anche se il leader ‘revisionista’ seguiva i suoi insegnamenti come, peraltro, facevano molti esponenti della comunità ebraica italiana fino a quando il Duce non si allineò con Hitler e fece emanare le leggi razziali.

Il russo Žabotinskij

Žabotinskij nacque a Odessa dove fondò l’Organizzazione per l’autodifesa ebraica. Durante la prima guerra mondiale, contribuì alla creazione della Legione Ebraica dell’esercito britannico e, con il consenso e l’aiuto di Mussolini, fondò a Civitavecchia le basi della futura marina israeliana con la creazione di un’accademia navale. Sebbene i ‘revisionisti’ fossero desiderosi di garantire che i tirocinanti evitassero la politica fascista locale, i cadetti espressero il sostegno pubblico al regime di Benito Mussolini, come Halpern, il vero capo della scuola, descrisse nel suo libro History of Hebrew Seamanship.

I cadetti ebrei in Abissinia

I cadetti ebrei, però, scriveva recentemente uno storico israeliano, marciarono a fianco dei soldati italiani a sostegno della seconda guerra italo-abissina e raccolsero rottami metallici per l’industria bellica italiana. “Si sentivano come se stessero vivendo la vera vita beitarista in un’atmosfera di eroismo, militarismo e orgoglio nazionalista”. Sulle divise i giovani che sarebbero diventati la base della marina militare israeliana (con l’aiuto anni dopo di un pluri-decorato ex della X Mas) portavano da un lato il fascio e dall’altro la stella di Davide.

In accordo con la dottrina fascista

In una chiara espressione della solidarietà tra l’Accademia ebraica di Civitavecchia e l’esercito italiano, la pubblicazione ufficiale delle scuole professionali marittime italiane, il Bollettino del Consorzio Scuole Professionali per la Maestranza Marittima, affermava all’epoca: «In accordo con tutte le autorità competenti è stato confermato che le opinioni e le inclinazioni politiche e sociali dei revisionisti sono note e che sono assolutamente in accordo con la dottrina fascista. Pertanto, come nostri studenti porteranno la cultura italiana e fascista in Palestina».

‘Bibi’ neofascista si o no?

Netanyahu, premier, probabilmente non è un neo-fascista ma oggi c’è una parte della popolazione israeliana che lo definisce tale. E probabilmente il leader farà poco per distanziarsi da quegli elementi della coalizione di governo italiana che cercano una nuova verginità sposando Israele e gli ebrei pur conservando i ricordi e una parte della loro ideologia fascista. «Lei è italiano?», mi chiesero anni fa all’Università di Tel Aviv, dopo l’affollata e commovente presentazione della mia ricerca e libro ‘Uccideteli tutti’ (Il Saggiatore 2008), la storia di un campo di concentramento fascista in Libia.

«Certo», riposi, per sentirmi dire dall’italiano ebreo ortodosso che avevo sbagliato ad attaccare Mussolini: «Se il duce non avesse sbagliato alleandosi con Hitler, oggi la Libia sarebbe nostra, italiana».

I due giorni di Roma

Non credo che, nei due giorni di visita a Roma, il corteo di auto blindate di Netanyahu, la sua scorta e il suo seguito passeranno da Porta Pia e via XX Settembre accanto alla nuova ambasciata britannica. La Gran Bretagna, durante la Seconda guerra mondiale era il nemico dell’Italia, o meglio si difendeva dall’assalto nazi-fascista all’Europa. Per motivi diversi, Londra era all’epoca il nemico numero uno (a parte gli arabi, ovviamente) del movimento sionista e degli ebrei sopravvissuti all’Olocausto che tentavano di raggiungere la Palestina, la terra di altri che anni prima Londra aveva promesso al popolo ebraico.

Mossad base Italia

Come ho raccontato in ‘Mossad base Italia’ (Il Saggiatore 2010), uno dei movimenti clandestini ebraici palestinesi, l’Irgun, si era messo in testa di colpire la Gran Bretagna in Europa. Il bersaglio fu l’ambasciata di Roma. Gli attentatori che arrivarono da Tel Aviv ebbero l’assistenza di alcuni ebrei romani. E, secondo alcune testimonianze, di alcuni noti neo-fascisti, tra cui Pino Romualdi, che fornirono ai terroristi l’esplosivo necessario a demolire una parte della struttura diplomatica.

Verginità ritrovate

Sono passati molti anni da allora. I post-fascisti italiani in cerca di verginità e consensi giurano fedeltà agli ebrei, l’uomo del centrodestra israeliano, accusato di reati vari, lotta per non finire in carcere e sposa la destra estrema, i nemici del passato del suo popolo, anche se ciò significa uscire dall’ambiguità della maggioranza israeliana sempre disposta a parlare di diritti palestinesi ma mai disposta ad affrontare il nodo dei due popoli che rivendicano la stessa terra.

La sola coerenza di ‘Bibi’

Su una questione Netanyahu non è mai stato veramente ambiguo. Gerusalemme per lui deve essere riconosciuta come la capitale indivisibile di Israele. Viktor Orbán, premier ungherese, considerato il neo-nazista per eccellenza d’Europa, sarebbe pronto ad accontentare il suo amico e collega israeliano e tra pochi giorni annuncerebbe il trasferimento dell’ambasciata del suo paese da Tel Aviv alla città santa. Sarebbe il primo paese europeo a compiere il passo.

L’Italia con Meloni intende anticiparlo o seguirlo?

Partita decisiva per la democrazia in Israele

  • Lo stesso viaggio ufficiale in Italia di Netanyahu è stato complicato dalle proteste israeliane: oltre 150 piloti della compagnia aerea El Al si sono rifiutati di prendere servizio per partecipare al viaggio, mentre in Italia l’interprete Olga Dalia Padoa, si è rifiutata di accompagnare Netanyahu al Tempio maggiore a Roma e ha spiegato così la sua scelta: «Non condivido le idee politiche di Netanyahu e le ritengo altamente pericolose riguardo al benessere e alla salvaguardia della democrazia nello stato d’Israele. (…) Non si collabora con chi promuove principi fascisti e liberticidi, non si fa e basta».
  • Altri manifestanti, fra cui un ampio gruppo di riservisti, hanno bloccato l’accesso agli uffici di Gerusalemme del Kohelet Policy Forum, un centro studi conservatore e di destra che ha appoggiato la riforma. La forza delle proteste e il possibile indebolimento della democrazia in Israele – da tempo già messa in discussione per via del trattamento dei palestinesi – sono state oggetto di dibattito anche nella comunità ebraica statunitense, che normalmente non prende posizioni nette sulla politica interna del paese.
  • La Federazione ebraica del Nord America ha mandato una lettera aperta alle forze politiche di maggioranza e opposizione esprimendo la sua contrarietà alla riforma e chiedendo l’intervento del presidente israeliano Isaac Herzog. Ma i tempi delle riforme contestate potrebbero essere molto brevi: se non interverranno ripensamenti o compromessi.
  • Secondo Dahlia Scheindlin, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz e collaboratrice del britannico Guardian, «Israele ha davanti un bivio: o le forze democratiche e la destra moderata fanno fronte comune con le opposizioni, salvando le istituzioni del paese e la sua collocazione internazionale, o il governo completerà il suo spostamento verso le forme di potere dei famosi amici di Netanyahu, l’ungherese Viktor Orban e i nuovi alleati autoritari nel Medio Oriente».
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