Il cancro dell’occupazione

Gaza, mezzo milione in fuga. Riaperto il valico di Rafah ma solo per i 600 palestinesi con passaporto Usa. Riad avrebbe deciso di interrompere i colloqui con Tel Aviv.  A limitare il massacro sotto gli occhi del mondo, ‘grandi operazioni solo dopo l’evacuazione’. Euro-Med Human Rights Monitor: da sabato scorso l’esercito israeliano ha ucciso un palestinese ogni dieci minuti. Degli oltre 2.300 uccisi, 724 sono bambini, un terzo. Gaza ha una popolazione giovanissima, oltre il 40% ha meno di 14 anni. Significa che la metà dei suoi abitanti è nata dopo la prima grande offensiva israeliana sulla Striscia, Piombo Fuso, nel 2008-2009. Intanto Ugo Tramballi, sulle sue Slow News, avverte

Tra lo strapotere israeliano e quello di  Hamas

I palestinesi di Gaza, chiusi fra l’ordine di evacuazione degli Israeliani e quello di Hamas di restare a fare da scudo al bombardamento o all’invasione nemica, sintetizzano due momenti fondamentali della crisi: la tragedia umanitaria dei due milioni di abitanti della striscia e la capacità di Hamas di prendersi gioco della potenza militare israeliana.

Carne da cannone e da vendetta

Al movimento islamico palestinese importa poco del destino dei civili di Gaza: sono solo una specie di arma tattica nel loro arsenale. Forse neanche agli israeliani interessano molto: soprattutto dopo il massacro orrendo nei kibbutz di frontiera. Tuttavia il loro comportamento è ora sotto attenta osservazione internazionale: il tipo di offensiva militare israeliana contribuirà a determinare lo svolgimento della crisi e il possibile allargamento alla regione. Dopo la principale preghiera del venerdì, in Giordania e in molti altri paesi arabi e musulmani ci sono state grandi manifestazioni popolari a favore della causa palestinese. Non se ne vedevano da tempo.

Le perorazioni di Biden

Oltre a ribadire l’appoggio incondizionato dell’America, il segretario di Stato Usa Antony Blinken è andato a Gerusalemme per esortare Bibi Netanyahu alla moderazione. I due punti apparentemente inconciliabili – sostegno e limiti alla libertà d’azione – sono stati ripetuti dagli europei, dagli arabi con i quali Israele ha rapporti diplomatici ed economici, dall’Onu. Ma non è con la sobrietà che Bibi Netanyahu può raggiungere la cancellazione di Hamas, promessa alla sua opinione pubblica.

La tragedia israeliana dell’occupazione

In questi giorni gli israeliani stanno vivendo una specie di regressione temporale: sentono di essere tornati allo stato d’insicurezza nazionale precedente alla guerra dei Sei Giorni del 1967. In quel conflitto conquistarono il Sinai, Gaza, Gerusalemme Est araba, la Cisgiordania e il Golan. Dimostrarono una superiorità militare impareggiabile ma fu anche l’inizio della crisi in cui si trovano oggi. Fu una vittoria e la principale tragedia d’Israele: l’occupazione dei territori palestinesi.

Antichi e reiterati errori arabi

Avevano offerto ai nemici arabi la restituzione dei territori conquistati in cambio del riconoscimento dell’esistenza d’Israele: gli arabi rifiutarono. Avevano incominciato a costruire colonie, alimentando il cancro del nazionalismo religioso che oggi sta consumando il paese. Avevano avviato con i palestinesi un processo di pace e insieme – israeliani e palestinesi – lo avevano fatto fallire. Come conseguenza di tutto ciò, fino a sabato scorso avevano vissuto in uno stato di negazione: senza una soluzione a portata di mano; con le paci offerte dai paesi arabi che dell’inumano trattamento dei palestinesi non chiedevano conto; con la crescente stanchezza internazionale verso il conflitto, gli israeliani si erano illusi di poter nascondere sotto il tappeto diversi milioni di palestinesi.

Diritto a difendersi, diritto ad esistere

In qualche modo l’imprevedibile comportamento sanguinario di Hamas ha spinto governi amici e non, e le opinioni pubbliche del mondo intero a sostenere il diritto d’Israele a difendersi e contemporaneamente quello dei palestinesi ad avere un futuro. Ci voleva il più orribile dei massacri possibile per capire che per evitarne un altro serve una risposta alla condizione dei palestinesi.

Due Stati? Più odio, più sfiducia, più difficile

E’ dunque possibile che quando finirà quest’ennesima crisi si potrà riprendere un dialogo? Che la soluzione dei due stati possa essere raggiunta? Forse. Ma è difficile: ciò che sta accadendo da sabato scorso aumenterà l’odio e la sfiducia fra i due popoli. Gli israeliani crederanno anche più di prima che dei palestinesi non ci si può fidare; e i palestinesi erroneamente si convinceranno che ora Israele si possa vincere con la lotta armata.

L’errore tragico della colonie di Israele

C’è infine l’aspetto geografico. Le colonie ebraiche si sono così moltiplicate che difficilmente potrebbe nascere uno stato palestinese con una continuità territoriale che lo possa far funzionare. Anche con i limitati scambi territoriali che la trattativa di Oslo aveva preso i considerazione, è impossibile trasferire 500mila israeliani dentro le frontiere internazionalmente riconosciute d’Israele. Yossi Beilin, l’israeliano che preparò il miracolo di Oslo, pensa che esista una sola soluzione: lasciare tutti dove sono.

Gli israeliani in Palestina e i palestinesi in Israele. Ma tutti, ovunque siano, cittadini del loro stato. Perché funzioni i due popoli dovrebbero almeno rispettarsi. Per ora non se ne vede traccia.

 

 

 

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