
«Tecnicamente il trucco è lo stesso del petrolio russo ‘travestito’ da indiano che approda ripulito nei terminal di mezza Europa», la premessa di Sebastiano Canetta da Berlino sul Manifesto. Questa volta però la triangolazione occulta investe direttamente il fronte della guerra in Ucraina e suscita ipocritamente un po’ più di scandalo rispetto a quello che tutti sapevano facendo di non vedere. Più a sorpresa, ma non troppo, scoprire che il Paese che più vende clandestinamente alla Russia è la Germania dei gasdotti bersaglio, «già ampiamente sospettata di complicità con il nemico Putin».
La bomba ipocrita. Clamore estivo sulla ‘Welt Am Sonntag’, l’inserto domenicale del quotidiano di riferimento dei conservatori, l’analisi di Erlend Bollman Bjørtvedt, esperto della società di consulenza norvegese Corisk, con tutti i dati doganali in grado di svelare chi aggira l’embargo alla Russia. Li aveva lui, li potevano avere tutti, avendo voglia di cercarli. Scoperta del ‘commercio ombra’ con i cosiddetti «Stati non ostili» guidato dalla Germania ma non certo da sola. ‘Non ostili’ con noi Ue o Nato, ma nemmeno con Mosca, per intenderci. E la scoperta che l’acqua troppo calda brucia, ci dice che la Germania da sola ha movimentato un quarto delle merci che tra marzo e dicembre 2022 hanno cambiato velocemente bandiera tra la prima vendita e il destinatario finale.
«Alcune aziende hanno aumentato le vendite verso Stati come il Kazakistan o l’Armenia del mille, diecimila, addirittura il 70mila per cento da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Impossibile ignorare una dinamica del genere», riassume Bjørtvedt. Specialmente quando il prodotto made in Germany corrisponde, per esempio, a componenti imprescindibili per costruire droni o l’altro materiale «Dual-Use» civile e militare ora di rapido consumo sul fronte ucraino. Anche un interruttore o un microcip per comandare la lavatrice, e altro. A dare maggior spazio alle polemiche, la contraddizione che la Repubblica federale sia anche il paese che fornisce i Leopard-2 all’esercito di Kiev: gli stessi tank presi di mira dai droni iraniani ma anche da sistemi guidati funzionanti grazie all’apporto della tecnologia occidentale.
Non sono più solamente i microchip prodotti nelle ‘silicon-valley’ dell’ovest che Putin ha immagazzinato prima dell’invasione (nessun sa davvero in che numero), ma persino ‘giocattoli’ nati per l’hobbistica e trasformabili in armi letali in poco tempo e con spesa irrisoria. L’esperto norvegese della Corisk prende a campione il business mimetico del marchio cinese «Dji»: «Vende oggetti che per meno di mille euro si levano in aria filmando tutto ciò che c’è sotto. In Europa vanno forte tra gli influencer e i registi amatoriali. I russi, invece, li usano per spiare il territorio ucraino alla ricerca di obiettivi militari da colpire con l’artiglieria». Dettaglio noto anche a Berlino. Dopo la denuncia pubblica il ministero tedesco della Tecnologia ha fatto sapere: «Il governo Scholz prenderà provvedimenti per impedire l’inaccettabile elusione delle sanzioni da parte delle imprese nazionali».
In ballo c’è certamente una marea di soldi pronta cassa e formalmente legali. Ma quastioini politoco diplomatiche ancora più importanti. «La NATO non diventerà parte del conflitto in Ucraina», ha ribadito ieri a Berlino – per l’ennesima volta – Olaf Scholz in conferenza stampa, a dare una calmata al segretario Nato, Jens Stoltenberg in proroga americana. Riassicurazione diretta anzitutto ai tedeschi che non smettono di segnalare il malessere per gli effetti della guerra. In termini di voti si traduce nel boom di Afd, l’estrema destra para nazista che ormai ha superato i Verdi nei sondaggi. Cruccio irrisolto per la Germania (ma non solo) la linea dura imposta dalle alleanze Ue e Nato che paga sempre meno ma che ora neppure funziona più lo scambio «sottobanco» con Mosca.
Difficile continuare a far transitare merci di uso incerto attraverso Armenia, Georgia, Uzbekistan Kazakistan, Tagikistan o Kirghizistan. «Dall’inizio dell’invasione russa le aziende tedesche hanno venduto a questi Stati beni per oltre due miliardi di euro», sottolinea Bjørtvedt il castigamatti ispirato. Ricordandosi sempre che Bruxelles impedisce il commercio diretto con Russia e Bielorussia mica gli scambi con i suoi principali intermediari. La differenza –ironizza Canetta- passa per un’etichetta… Come molte altre cose Ue.