
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il 24 febbraio 2022, le autorità di Mosca hanno più volte agitato lo spettro dell’arma atomica come possibile esito di un’escalation militare. Di fatto, oltre la crisi russo-ucraina, il ritorno di attenzione al nucleare come arma è un fenomeno globale. E anche se negli ultimi decenni il numero delle testate è diminuito, più della metà dei paesi che possiedono questi ordigni – nello specifico Cina, Russia, Pakistan, Corea del Nord e India – ha aumentato le proprie scorte. Pyongyang, in particolare, suscita apprensione a livello internazionale per i test missilistici che effettua periodicamente. Sempre più lontano quel 1986 in cui Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov dissero che «una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta».
Il tema è tornato sotto i riflettori al vertice del G7 di Hiroshima, una delle due città giapponesi insieme a Nagasaki ad aver sperimentato le devastazioni nucleari, e dopo l’uscita nelle sale del film ‘Oppenheimer’, che racconta la vita del fisico statunitense che diresse il progetto della prima bomba atomica.
Parlando della guerra in Ucraina -l’analisi ISPI-, occorre partire dalla dottrina nucleare di Mosca. Il presidente russo Vladimir Putin e vari esponenti del governo russo hanno più volte assicurato che saranno utilizzati ‘tutti i mezzi necessari’ a garantire la sicurezza del paese, con un riferimento neanche troppo velato alle armi atomiche. Secondo la dottrina russa, il Cremlino si riserva il diritto di lanciare un attacco nucleare solo come risposta a due casi specifici:
Con lo sviluppo della guerra in Ucraina e vari attacchi in aree considerate parte del territorio russo, come il ponte di Kerch in Crimea, appare chiaro che la dottrina sia stata volutamente formulata in modo ampio, in modo da evitare ogni automatismo in grado di portare all’utilizzo ‘obbligato’ di armi atomiche.
Al momento sembra che, anche nella peggiore delle ipotesi, la Russia farebbe ricorso a una testata tattica e non strategica. Queste testate nucleari sono destinate all’uso sul campo di battaglia e sono progettate per distruggere obiettivi in un’area specifica.
Nella categoria delle nucleari tattiche rientrano testate con potenza inferiore al chilotone (l’equivalente di 1000 tonnellate di esplosivo TNT). Un numero tra le 500 e 800 volte inferiore alla potenza distruttiva massima delle atomiche strategiche di cui ad oggi dispongono Stati Uniti e Russia. Allo stesso tempo, però, le testate tattiche russe più potenti possono raggiungere fino a 100 chilotoni. Mentre le B61-3 americane si spingono fino ai 170 chilotoni. Una capacità distruttiva molto superiore a quella di Little Boy e Fat Man: le atomiche americane che hanno rispettivamente distrutto Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
Si stima che la Russia abbia a disposizione più di 1900 di queste testate tattiche, che possono essere collocate su vari tipi di missili normalmente utilizzati per trasportare esplosivi convenzionali. In particolare, nel caso di Mosca, quasi una testata tattica su due sarebbe installata su missili cruise e siluri in dotazione alla marina russa. Gli USA hanno invece ridotto il loro arsenale di testate tattiche che ora è pari a quasi un decimo di quello russo, ma senza sconto distruttivo.
Le armi convenzionali più avanzate possono infatti distruggere con la stessa efficacia i bersagli designati ed evitano le conseguenze negative legate all’uso dell’atomica. Non a caso le armi nucleari tattiche non sono mai state utilizzate in un conflitto, per timore che scatenino una guerra nucleare con testate strategiche, che porterebbe all’Armageddon nucleare, menzionato più volte in questi termini anche dal presidente statunitense Joe Biden.
Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), sono 12.512 le testate nucleari strategiche esistenti nel mondo. Di queste, quasi 9.500 sono negli arsenali per un potenziale utilizzo e più di 3.700 sono già pronte su missili e aerei. Dopo 37 anni di disarmo nucleare -dettato più dallo smantellamento di testate ormai datate che alla riduzione di quelle operative- la tendenza sembra destinato a invertirsi. Nonostante la ratifica da parte di 50 stati di tutto il mondo e l’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), gli arsenali nucleari sono destinati ad aumentare. Sia la Russia che gli Stati Uniti hanno in corso ampi programmi di sostituzione e modernizzazione delle loro testate nucleari e il resto del mondo non resta a guardare.
Mosca e Washington contano da sole il 90% delle testate al mondo. Ma anche altri sette Paesi fanno parte del cosiddetto ‘club nucleare’. La Cina è impegnata nella modernizzazione del suo arsenale nucleare, che sembra includere la costruzione di oltre 300 nuovi silos missilistici. Si prevede che nel giro di un paio di anni l’arsenale nucleare cinese possa raggiungere il migliaio di ordigni. Si tratta di una corsa al riarmo che non lascia indifferenti India e Pakistan, anch’essi impegnati in un aumento dei propri inventari nucleari. Lo stesso vale per la Corea del Nord, che oltre ad aver aumentato di 5 unità il proprio arsenale nucleare dal 2022, nel 2023 ha effettuato 17 test missilistici – con circa 30 missili lanciati – contribuendo a innalzare il livello di tensione nell’Asia-Pacifico.
Il Vecchio Continente avrebbe a disposizione 515 testate tra Francia e Regno Unito. Oltre ad ospitare circa 150 testate americane, molte delle quali in Italia. Alla luce dell’instabilità che caratterizza attualmente il sistema internazionale, una strategia di deterrenza nucleare che porti a un graduale riarmo non può che essere vista con gravi timori da tutto il mondo.