Ventimila cadaveri certi tra cui tantissime donne e bambini e con lo sconto dei corpi a marcire sotto le montagne di macerie, che, tradotto dalle ipocrisie politiche a motivare l’impossibile, equivale a circa l’1% della popolazione di Gaza. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, più di due terzi delle vittime sono donne e bambini. Anche se queste cifre sono imprecise, Israele non ha presentato cifre contrarie. Se Israele continua così, con l’auto ora micidiale della fame, delle malattie e del gelo, potrebbe vincere qualsiasi campionato di crudeltà bellica del terzo millennio.
Un rapporto investigativo del New York Times ha rilevato che le morti civili a Gaza durante l’attuale guerra stanno aumentando più rapidamente di quanto non abbiano fatto durante le guerre americane in Iraq, Afghanistan e Siria. E un nuovo rapporto di quel giornale afferma che durante le prime sei settimane di guerra, Israele ha sganciato bombe da una tonnellata sul sud di Gaza almeno 200 volte, anche se le forze di difesa israeliane e il governo israeliano avevano dichiarato che il sud di Gaza era un luogo sicuro. L’IDF si è impegnato a spingere gli abitanti di Gaza a spostarsi verso sud. «Andate a sud», ha detto ripetutamente l’IDF. Ma il rapporto del New York Times e ciò che abbiamo sotto gli occhi tutti, mostra che il sud non era affatto sicuro, ma solo una successiva fase di guerra.
Guerra di terra anche nel sud di Gaza, dove non c’è stata un’evacuazione di massa e dove la popolazione, oltre che possibile bersaglio (la vigilia le stragi nei campo profughi), avrebbe l’obbligo di ridurre i danni ai civili non coinvolti. Insomma, situazione umanitaria a Gaza: la fame; le malattie; la carenza di acqua, cibo e medicine; il fatto che le persone non hanno una casa in cui tornare; e le infrastrutture distrutte. Fare una distinzione netta tra colpire i terroristi di Hamas e danneggiare civili non coinvolti, anche considerando il fatto che in quell’area sono detenuti 129 ostaggi israeliani, sottolinea Haaretz.
L’Oms: «La guerra uccide anche la sanità, senza pace non c’è salute». L’anno fine della pandemia e dell’inizio del macello Gaza. «Senza pace non c’è salute e senza salute non può esserci pace». La denuncia-perorazione del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. «L’insicurezza, la povertà e la mancanza di accesso all’acqua pulita e all’igiene hanno alimentato la diffusione di malattie infettive in molti Paesi». Conquiste scientifiche importanti, assieme alle notizie di violenze sugli ostaggi e l’attacco devastante contro Gaza, aggiungendo alle oltre 20mila vittime gli oltre 53.000 feriti.
L’Oms continua a denunciare che «gli ospedali e gli operatori sanitari sono stati ripetutamente attaccati, mentre i soccorsi non sono sufficienti. Al 22 dicembre, solo 9 delle 36 strutture sanitarie di Gaza erano parzialmente funzionanti, e solo quattro offrivano i servizi più basilari nel Nord». «Per questo motivo chiediamo nuovamente un cessate il fuoco immediato», rimarca Tedros, ricordando che quest’anno ‘guerra e ostilità’, purtroppo, hanno afflitto molte altre località del mondo, tra cui Sudan, Ucraina, Etiopia e Myanmar, solo per citarne alcune’.
Israele -insiste il quotidiano di Tel Avivi-, deve arrivare ad un accordo per il rilascio degli ostaggi ed essere pronto a pagare sia i giorni aggiuntivi di cessate il fuoco che il rilascio dei prigionieri palestinesi. «Il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant hanno ripetutamente affermato che la pressione militare su Hamas avrebbe fatto sì che l’organizzazione ammorbidisse le sue richieste e avrebbe portato al ritorno degli ostaggi, ma la realtà non è stata in linea con le loro aspettative. Finora la massiccia offensiva in corso non ha prodotto alcun risultato per quanto riguarda gli ostaggi».
Due bugiardi smentiti drammaticamente dai fatti. «Ci ha solo portato a interrompere i colloqui sul loro rilascio. Riportare a casa gli ostaggi è uno degli obiettivi supremi della guerra. Il governo non ha il mandato di abbandonare gli ostaggi, né esplicitamente né implicitamente».