14 i mesi dall’invasione russa del Paese e comincia a trasparire uno scenario che -oltre la dichiarazioni ufficiali e la propaganda organizzata-, agita sia Zelensky e i comandi militari di Kiev, sia le cancellerie occidentali. «Il motivo ruota intorno alla ormai fin troppo annunciata controffensiva delle forze ucraine per la riconquista dei territori occupati dalla Federazione, o almeno di una grande parte di essi», la sintesi di Andrea Lavazza.
Finora si è detto che l’avvio delle operazioni sia stato ritardato dalle condizioni climatiche: il fango che blocca i cingolati, o l’attesa per ulteriori forniture di armi da parte della enormità confusa della cinquantina di Paesi sostengono più o meno efficacemente Kiev. Ma le cose sono più complicate. «Il fattore tempo è certamente fondamentale. Ogni giorno che passa le truppe di Mosca possono rafforzare le trincee e gli sbarramenti per reggere l’urto dell’attacco a venire. Inoltre, nei territori conquistati e formalmente annessi alla Federazione prosegue l‘opera di ‘russificazione’, rendendo più difficile anche la collaborazione dall’interno alla liberazione delle zone di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson».
Sia Zelensky sia Biden sanno che non si può sbagliare –annotano gli analisti di mezzo mondo-, segnalando che potrebbe esserci un solo tentativo da sfruttare, se si deciderà (Usa-Ucraina) ‘per un’azione su larga scala’. Mentre il presidente ucraino deve anche mettere in conto le reazioni dei suoi alleati a uno scarso successo della controffensiva, un risultato che non ponga in seria difficoltà le forze russe sul campo né avvicini una reale ripresa dei territori persi tra il 2014 e il 2022. Di fatto, senza nulla attraverso cui indurre il Cremlino a trattare per la fine del conflitto, o perlomeno una tregua, su un piano paritario.
Vista dalla Casa Bianca -ancora Lavazza su Avvenire-, «l’evoluzione della crisi ha bisogno di un’accelerazione perché con la maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti e l’avvio della campagna elettorale di cui ora lo stesso Biden fa ufficialmente parte dato l’annuncio della corsa al secondo mandato, il prolungamento della guerra con queste modalità – pochi avanzamenti e grande dispendio di armi – non può essere sostenibile per gli Stati Uniti».
Se la controffensiva non sarà un successo, il presidente Usa entrerà nel mirino di molti, con accuse contrapposte. Perché ha esitato a dare tutte le armi che Zelensky ha continuato con insistenza a sollecitare. O dalle ‘colombe’, che gli imputeranno l’essersi intestardito ad alimentare ‘un conflitto per procura con Putin senza ottenere l’esito sperato e al prezzo di moltissime vite e di una spesa decisamente ingente’. «Per questo, anche se il tempo è vitale sul fronte ucraino, si esita a far partire le operazioni in grande stile», la conclusione.
La stessa Europa, di fronte a un fallimento di fatto della reazione di Kiev finanziata e armata dai Paesi Ue (seppure con meno mezzi di quanti promessi), sarà tentata di rallentare il suo sforzo e premerà su Zelensky perché si sieda a un tavolo negoziale al quale avrà poche frecce al suo arco e dovrà necessariamente accettare dolorose concessioni territoriali.
«Segnali chiari arrivano con il caso del grano, che sta incrinando persino la granitica e pugnace solidarietà polacca nei confronti di Kiev». I contadini dei Paesi dell’Est del Continente in rivolta contro l’arrivo sui loro mercati di prodotti agricoli ucraini a basso prezzo e ora privi di dazi d’importazione, favore Ue alla disastrata economia di Kiev. Ma ora il disastro contadino dilaga. I coltivatori polacchi, slovacchi, ungheresi, rumeni, con loro già esigui ricavi minacciati, stanno facendo fortissime pressioni sui loro governi. Perché la solidarietà costa, ma non tutti la pagano in modo eguale. Bruxelles tenta di mediare.
«La vicenda dimostra quanto difficile sia mantenere un sostegno incondizionato all’Ucraina se non a un costo molto alto e, probabilmente, sul lungo periodo troppo oneroso nella forma attuale».
E si torna il dilemma della controffensiva. «Lanciarla al più presto per evitare il logoramento dell’Alleanza con il rischio di non avere una seconda chance o procrastinare la situazione di sostanziale stallo in attesa di maggiori rifornimenti e migliori chance di una chiara vittoria sul campo di battaglia? Realisticamente, il tempo non è molto e gli arsenali non si riempiranno tanto di più, vista la lentezza o la riluttanza di fatto di diversi Paesi nell’invio di armi, mezzi e munizioni».
L’accelerazione sugli F-16 proposta dal segretario dell’Alleanza Atlantica Stoltenberg, subito seguita da forti critiche, vorrebbe rendere le forze ucraine capaci di sostenere anche la battaglia dei cieli, ma il segretario uscente in lunga proroga, ha perso molta delle sua credibilità politico-militare e scopre che non c’è margine per convincere tutti i partner e, soprattutto, addestrare in modo accettabile i piloti di Kiev.
In questa incertezza, il timore di Avvenire sulla possibilità di una fuga in avanti di qualche settore dell’esercito o dell’intelligence ucraini, «come fatto balenare dal drone lanciato verso Mosca e dalla notizia che Washington avrebbe bloccato piani per attacchi in profondità nel territorio russo. Scatenare un effetto domino sarebbe la (molto pericolosa) strada per coinvolgere ancora di più nel conflitto Usa ed Europa».
Il tentativo di un colpo da KO, o almeno penetrazione che permetta di cantare vittoria anche con successi limitati ed eviti, in caso negativo, lo spettro del nulla di fatto con conseguenze politiche disastrose anche in casa Ucraina.
«Da parte sua, il Cremlino sta a guardare. Il fattore tempo gioca a suo favore. Putin sa di non avere la forza per avanzare ulteriormente, ma può consolidare la presa sui territori invasi e giungere a una tacita accettazione della nuova carta geografica nell’affievolirsi del sostegno occidentale al governo ucraino».
Uno scenario –conclusione dell’attenta analisi di Andrea Lavazza-, che non lascia spazio all’ottimismo sulla vicina fine delle ostilità nel cuore dell’Europa