Iran, la rivolta giovanile verso la rivoluzione. Molotov sulla casa di Khomeini, a fuoco i simboli del regime

Le immagini dell’edificio in fiamme fanno il giro dei social media. Continuano gli scioperi nei bazar, da Teheran a Mashad e Tabriz. Studenti ancora in prima linea. In Kurdistan ucciso un colonnello dei pasdaran, il bracio armato degli Ayatollah. Una giovane curda che camminava per strada con in mano una foto di Mahsa Amin, la ragazza uccisa dalla polizia religiosa da cui nasce la rivolta, arrestata e condannata a 15 anni di prigione. Violenza repressiva folle sull’orlo di una rivoluzione altrettanto violenta.

Il regime autoritario che nel nome di Allah reprime e uccide

«’Basiji (miliziani), sepah (pasdaran), siete il nostro Isis’, è lo slogan scandito ai funerali dei bambini uccisi a Izeh nel Khuzestan (sud-ovest) in quello che le autorità hanno definito un ‘attentato terroristico’ e i manifestanti imputano invece alle forze dell’ordine», denuncia Farian Sabahi sul Manifesto, lei giornalista italiana che ben conosce la nobile lingua delle sue origini.
Intanto nella località di Khomein, a sud di Teheran, gli attivisti hanno dato alle fiamme la casa natale dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, morto nel 1989, il leader religioso che all’indomani della rivoluzione del 1979 ha preso il potere e chiamato gli iraniani alle urne per scegliere tra monarchia e repubblica islamica imponendo poi un regime autoritario feroce, nascosto dietro le regole religiose della sharia, interpretata nella maniera più repressiva e feroce.
Negli ultimi trent’anni quell’abitazione è diventata un museo. Sui social circolano immagini dell’incendio dell’edificio, che sarebbe stato preso di mira e dato alle fiamme con bottiglie molotov.

Ora è la società iraniana che inizia a dire basta

Cronaca quasi di guerra. Il tempo della ricorrenza, il «novembre di sangue» del 2019, quando centinaia di persone vennero uccise nella violenta repressione. Adesso c’è la rivolta civile, ma anche la possibilità di risposta alle insistite violenze da decine di organizzazione ufficiali e volontarie di polizia, a parte dell’assurda e vergognosa polizia religiosa, «Gasht-e Ershad, la polizia morale». E adesso, dopo aver bruciato il ‘sacrario’ del Padre della Patria e del regime, nella provincia del Kurdistan iraniano è stato accoltellato a morte un colonnello dei pasdaran. Sangue chiama sangue, e in genere è l’avvio delle rivoluzioni.
Ora scioperano anche i mercanti del gran bazar di Teheran e ad Arak, Tabriz, Mashad, Isfahan, Najafabad, Ilam, Gorgan, Babol e Soumesara. Gli studenti restano in prima linea, con le forze di sicurezza che hanno fatto irruzione nella biblioteca dell’Università di Shiraz, per arrestare attivista.

Rotture religiose dei sunniti contro gli Ayatollah sciiti

Rotture interne persino nel diffuso e privilegiato mondo religioso, monopolio sciita a cui si contrappone, infima minoranza interna, l’islam sunnita maggioritario nel resto del mondo. Nella preghiera del venerdì il leader religioso sunnita Molavi Abdolhamid del Sistan e Balucistan, nel sud-est del Paese, ha dichiarato che la popolazione locale –di etnia baluci e fede sunnita, discriminata dalle autorità sciite, «non accetterà compromessi».

Escalation della piazza irreversibile

Dai foulard imposti alle donne e dati simbolicamente alle fiamme le prime armi per strada. E ora c’è chi ipotizza un rapido passaggio alla guerra civile se si considera il già alto numero di vittime, nonostante il regime non abbia ancora messo in campo tutte le sue ramificate strutture repressive. Nel frattempo, ci moltiplicano anche le azioni dimostrative contro i religiosi. Adesso i dimostranti stanno portando dalla loro parte diverse e più nascoste parti sociali.

Dati Human Rights

Secondo i dati del Human Rights Activists News Agency, l’HRANA,, fondato nel 2005 da alcuni attivisti al di fuori del territorio iraniano, al 17 novembre sono almeno 248 i manifestanti uccisi nel corso delle repressioni da parte della polizia e dai Basiji, mentre ammontano almeno a 43 i membri delle forze di sicurezza che hanno a loro volta perso la vita durante gli scontri. Sarebbero poi sei le persone arrestate che hanno già ricevuto sentenze di condanna a morte (per “moharebeh, guerra contro Dio”), sebbene sia possibile ricorrere in appello.

La rivolta si arma

Dati che arrivano nel giorno dell’anniversario delle proteste del 2019 che, nelle grandi città hanno determinato anche serrate nei bazaar, oltre a scioperi imponenti da parte dei lavoratori del petrolchimico, o in città come Tabriz, Bukan, Bandar Abbas e Sanandaj. Ad incendiare ulteriormente gli animi, la notizia della grande maggioranza parlamentare (227 voti contro 63) a favore della condanna a morte dei circa 15mila manifestanti arrestati sinora e contestualmente ad altre due importanti azioni terroristiche nel Paese, dopo l’attacco a una moschea di Shiraz risalente a quasi un mese fa e rivendicato dall’Isis.
Nel pomeriggio del 16 novembre a Izeh, nella regione meridionale del Kuzestan, alcuni uomini a bordo di motociclette hanno aperto il fuoco nei pressi di un centro commerciale, uccidendo almeno 5 persone – tra cui un bambino di dieci anni e un militare delle forze di sicurezza e ferendone altre 15. Poche ore dopo ad Isfahan, 300 km a est di Izeh, altri motociclisti hanno attaccato una sede dei Basiji, uccidendone due, secondo quanto riferito dall’agenzia Tasnim.

I muscoli esibizione di debolezza

A Izeh, altra durissima repressione delle autorità, con più di 800 feriti e un adolescente ucciso, il 14enne Sepehr Magshoodi. Lo stesso governo iraniano ha fatto sapere che negli scontri degli ultimi giorni migliaia di partecipanti sarebbero ragazzini di 15/16 anni, mentre un’associazione di avvocati ha comunicato che i minori imprigionati sarebbero tra i 500 e i 1.000, anche se non è stato possibile verificare quest’ultimo dato.

Guerra civile a ‘bassa intensità’

È chiaro come non sia più possibile tornare indietro e qualcuno si chiede anche se non si vada verso una guerra civile ‘a bassa intensità’. Prima la perdita di qualunque inibizione nelle proteste iniziate a settembre, con migliaia di donne che rimuovevano l’hijab obbligatorio, e con la presenza all’interno delle marce di cori spesso anche molto ‘pesanti’ all’indirizzo di tutte le autorità principali, a partire da Khamenei.
Poi, le azioni dimostrative contro i religiosi – ragazzi e ragazze che per strada tolgono il turbante dal loro capo -, anche in questo caso perdendo qualunque freno inibitore, polverizzando la residua patina di rispetto di cui il clero poteva godere fino a qualche tempo fa.
E infine la comparsa di armi da fuoco, con azioni dirette contro uffici governativi o delle forze di sicurezza, storicamente temute dalla società civile, e decine di scontri armati con i volontari Basiji, fino a pochi anni fa considerati inavvicinabili ed assai temuti.

L’eterno nemico esterno, e i ripetuti errori Usa

Manifestanti sempre più decisi e il regime sempre più convinto che godano di un sostegno da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita in particolare. Paranoie in casa iraniana e mosse occidentali spesso arroganti, o stupide e sempre sbagliate. Esempio la denuncia su come Russia e Iran aggirano le sanzioni. E cosa avrebbero dovuto fare, morire di fame o arrendersi? Da riflettere invece sul pessimismo del capo di Stato maggiore americano Mark Milley sulla guerra in Ucraina. E la scoperta che la Russia sta lanciando sull’Ucraina droni iraniani fabbricati con componenti americani e giapponesi — due nazioni che sanzionano sia la Russia sia l’Iran — è un richiamo alla realtà.

Alleati ma non amici

Iran e Russia non sono soltanto due alleati stretti, sono anche i due casi esemplari di Stati che riescono a cavarsela sotto un regime di sanzioni economiche varate dall’Occidente. Gli ultimi eventi hanno fornito nuovi dettagli sulla loro capacità di aggirare ogni sorta di embargo. La notizia dei droni iraniani è una importante lezione.

Ed ecco che, ultima ratio del sempre più isolato regime di potere iraniano, il presunto supporto russo contro una non rilevata trama americana, diventa alibi per una repressione sempre più feroce, ma assieme rischio di schianto mancando un nemico reale e soprattutto un amico interessato ai droni a basso costo ma non ad avere accanto un altro Stato paria.

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