
A Londra, sempre molto ombrosi verso tutto quello che succede a Bruxelles, sono convinti che le grandi manovre monetarie della Commissione finiranno col fare un grosso buco nell’acqua. Perché, rispetto alle ingenti risorse impiegate, i risultati rischiano di avere la consistenza delle briciole. «Gli Stati membri – dice il Financial Times – hanno concordato, all’unanimità, di sottoscrivere congiuntamente 800 miliardi di euro di debiti, per raggiungere due obiettivi generali: far uscire le loro economie in difficoltà dalla recessione indotta dal lockdown e investire in priorità condivise come il cambiamento climatico e la digitalizzazione, per favorire una crescita sostenibile».
La prima parte di questi obiettivi, ammette il Financial Times, è stata sostanzialmente raggiunta. Anche se dissanguando le casse comunitarie. Ma la seconda parte, quella sulla ‘stabilizzazione della crescita’, sembra invece scoraggiante. L’attuazione dei programmi è decisamente in ritardo (e non solo in Italia). La mancanza di intese specifiche tra Bruxelles e i vari Stati sulle riforme da attuare come precondizione, hanno ritardato i pagamenti, e gli investimenti hanno dovuto essere ridimensionati a causa dell’inflazione. Dalle verifiche fatte, fino a oggi è stato erogato solo 1/3 dei fondi richiesti e deliberati.
«Già nel 2020, la Commissione stimava – secondo il FT – che il sostegno alla ripresa avrebbe raggiunto in media l’1,9% del Pil nel 2022. Ma l’incremento, invece, è stato molto inferiore, pari solo allo 0,4%, come riporta un documento della Commissione che dovrebbe essere pubblicato in giornata». Un quinto di quanto previsto. Ma a Bruxelles, i vertici dell’Unione sono convinti di essere riusciti a evitare al blocco una forte recessione economica, come effetto collaterale della pandemia.
La reazione UE è stata addirittura migliore di quella avuta da Stati Uniti e Cina. Hanno contribuito anche i programmi di acquisto di obbligazioni di Stato della BCE, l’allentamento di alcune regole sulla spesa e, più in generale, l’affermarsi di una strategia ‘di deficit spending’, finanziare la spesa pubblica facendo debiti. Ma, come tutti i piani che nascono da un’esigenza primaria di ‘salvataggio’, anche i vari PNRR nazionali hanno dovuto fare i conti con una ridotta spinta alla crescita economica nel lungo periodo. Questo è il parere del Financial Times, che cita anche un rapporto elaborato da Goldman Sachs.
«Lo studio suggerisce che per le quattro principali economie europee (Germania, Francia, Italia, Spagna) l’impatto delle sovvenzioni sulla produzione, per la ripresa è nell’ordine dei decimali, e diventerà negativo mano a mano che il fondo si ridurrà. La sfida sarebbe quella di trasformare l’impatto immediato in livelli di crescita permanentemente più elevati». Detto in maniera meno tecnica, troppi soldi spesi per scarsi risultati nel tempo.
Gli analisti britannici, mettono poi a confronto la politica verso la transizione energetica ‘verde’ dell’Unione e quella seguita dall’Amministrazione Biden. Le conclusioni sono che l’Inflaction Reduction Act Usa (che prevede una spesa di 386 miliardi di dollari), riesce a puntare più efficacemente sugli obiettivi della ‘decarbonizzazione’ e del cambiamento climatico. Naturalmente la Commissione si difende. Ammette che gli obiettivi finora raggiunti sono inferiori alle attese, ma (come sempre accade di questi tempi) chiama in correità … Putin.
A Bruxelles dicono, che le performance economiche post-pandemiche, sono state influenzate, nel senso più negativo, dall’invasione dell’Ucraina. Le sanzioni alla Russia e l’incredibile aumento del costo dell’energia, hanno in qualche modo vanificato i piani di ‘resilienza economica’ che erano stati elaborati.
Tornando all’origine di tutto il problema, il Financial Times crede di averlo individuato nella stessa filosofia (e nel sistema) che anima l’essenza stessa del progetto. Il modello sviluppato, infatti, non è solo ‘economico’, ma è anche ‘politico’. L’erogazione dei fondi è subordinata non solo alla loro corretta finalizzazione finanziaria, ma anche «alla realizzazione di un quadro sociale e istituzionale in armonia con un progetto geopolitico condiviso», ma su cui diventa facile litigare.
Tutto questo diventa un ‘collo di bottiglia’, quando i progetti di resilienza economica sono il frutto di una faticosa transazione tra due burocrazie: quella comunitaria e quella dei singoli Stati. Il risultato finale è un quadro impressionista, nel quale ognuno dice di vedere tutto ciò che gli fa più comodo.