La transumanza della pace dal Trentino all’altopiano di Srebrenica, in Bosnia

Srebrenica, troppe consonanti in un solo nome, per noi italiani, con l’aggiunta di doverla pronunciare Srebreniza, con la ‘ci ‘slava che si legge ‘zeta’. Srebrenica città è al centro di un altopiano ricco di agricoltura e miniere, prima di vincolarne il nome al peggior orrore noto del dopo campi di sterminio.
Prima era ‘miniera d’argento’ (in lingua serbocroata ‘srebro’ significa argento), dall’antico nome latino ‘Argentaria’. Ciò che accadde nel luglio del 1995 è noto al mondo, e qualcuno di remocontro è stato tra i primo a mostrare quel cimitero a fosse comuni ancora celate ma di cui si iniziava ad avere la dolorosa certezza.
Ben venga questa rivisitazione che rovescia l’orrore in splendida solidarietà, grazie al racconto di Piero Badaloni.

La transumanza della Pace voluta Mario Rigoni Stern

L’hanno chiamata la transumanza della pace, in ricordo del grande dell’impegno contro la guerra e per la difesa dell’ambiente del grande scrittore Mario Rigoni Stern. A realizzarla, un anno dopo la sua morte, è stato il figlio Gianni. “Avevo visto servizi televisivi e letto articoli inquietanti sulla guerra in Bosnia Erzegovina – ci dice quando lo incontriamo – e sono andato a Srebrenica con una amica regista che voleva restaurare il teatro della città, nell’agosto del 2009. Avendo raccolto da mio padre la passione per la montagna, sono andato a visitare le contrade sopra Srebrenica, un altopiano a 900 metri di altezza, che somiglia molto a quello di Asiago in cui viveva mio padre e in cui vivo anche io”.

Abbandono e disastro ambientale

Il primo impatto lascia subito il segno. “Ho visto un disastro ambientale come se la guerra fosse finita pochi giorni prima – racconta Gianni – invece erano passati 15 anni”. Prati e pascoli invasi dalle felci tossiche, case ricostruite solo in parte, una popolazione costituita in prevalenza da donne e ragazzi giovani. questa in sintesi la situazione. E da qui la decisione immediata di Gianni Rigoni Stern: “per 30 anni mi sono occupato degli alpeggi del mio altopiano, sono laureato in scienze forestali, ho acquisito una certa esperienza, potrei fare qualcosa qui, più che per il teatro della città”, ci racconta. Nasce così il progetto di riportare animali dove mancavano del tutto, per ripulire prati e pascoli e consentire una ripresa dell’attività agricola.

La vacche ‘rendene’ ora bosniache

Gianni Rigoni Stern si dà da fare per trovare gli animali adatti e trasferirli dal trentino sull’altopiano di Srebrenica. si rivolge all’allora presidente della provincia di Trento, Lorenzo Dellai, e gli chiede di aiutarlo a portare lì delle vacche rendene: “sono animali un pò particolari – ci dice – particolarmente rustiche e in quei luoghi montani si sarebbero sicuramente trovate bene”. Nel 2010 arrivano le prime 48 manze dalla Val Rendena in Bosnia Erzegovina, donate dalla provincia di Trento, e assegna gli animali scegliendo di privilegiare soprattutto vedove di guerra, le più bisognose di aiuto. “Da allora vado una volta al mese a controllare come tengono le vacche,– ci dice – faccio lezioni tecniche per una corretta gestione dei pascoli e alimentazione del bestiame”.

12 anni e 48 vacche dopo

Ora, a dodici anni di distanza, sono nati parecchi vitelli e sono arrivate sull’altopiano di Srebrenica altre decine di vacche rendene. Insieme a loro Rigoni Stern è riuscito a portare anche vari trattori e attrezzature per fare il fieno e arare i campi, grazie al contributo volontario di tante persone che continuano a finanziare il progetto dopo la fase iniziale sostenuta dalla provincia di Rrento. Il prossimo obiettivo è la costruzione di un caseificio. “Al contrario di tante ong che operano in quei luoghi – dice Gianni – il progetto ha avuto successo perché io sono entrato nelle case, ho parlato con gli abitanti, ho ascoltato le loro storie, ho costruito un rapporto di fiducia con loro e ancora oggi continuo ad andare molto spesso nei posti dove sono allevate le nostre vacche”. È inutile andare a proporre cose strampalate, prosegue il figlio dello scrittore. “La popolazione è fatta di pastori e allevatori. Bisogna saper cogliere le loro esigenze e aiutarli in ciò di cui hanno bisogno, senza stravolgere la loro vita e le loro tradizioni”.

L’orrore di ieri nei racconti di casa

In quelle comunità – ci confida Gianni Rigoni Stern – sono successe cose talmente bestiali che se uno non se le sente raccontare da chi le ha subite in modo diretto, si è portati a non crederci. “Nella contrada in cui dormo quando vado sopra Srebrenica, nell’aprile del ‘92 arrivarono delle bande dal vicino confine e in una sola sera uccisero 92 uomini sui 115 che c’erano, svuotando le case e portando via tutto, mobili e animali”. Questo è solo uno dei racconti che gli hanno fatto. “Come si poteva restare inermi?”, dice il tecnico forestale. Lui fermo non è rimasto, e grazie alla promessa fatta al padre prima che morisse, dal 2010 sta aiutando chi è sopravvissuto al genocidio più grande compiuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, a ricostruirsi una vita ritrovando la dignità perduta.

Srebrenica-Asiago

Dopo dodici anni, sull’altopiano di Srebrenica, così simile a quello di Asiago dove ha vissuto lo scrittore Mario Rigoni Stern e dove continua a vivere il figlio Gianni portando avanti il suo impegno in favore della pace e dell’ambiente, un centinaio di famiglie hanno potuto ricostruire una piccola ma efficiente azienda agricola. In attesa di poter costruire il caseificio.

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