Telefonata tra Xi e Zelensky: la diplomazia cinese si muove, quella americana dorme?

«La diplomazia cinese si muove, quella americana è in vacanza?». Se lo chiede Federico Rampini, molto americano, ed il dubbio diventa ancora più pesante. Due vicende apparentemente molto lontane tra loro, da leggere in modo più attento. Da una parte la telefonata di Xi Jinping a Zelensky. Dall’altra «la scandalosa ‘sede vacante’ in Via Veneto a Roma, dove manca da tempo ‘un vero ambasciatore Usa», e forse il problema è anche italiano,
Perché nessuno si illude che certe ‘difficoltà’ storico politiche della Presidente del Consiglio passino inosservate assieme a certe vecchie visite americane o alle coliche di idealità politica sofferte della seconda carica dello Stato passino inosservate a Washington.

Politica alta diplomazia minima, o viceversa

Pechino mostra un attivismo diplomatico senza precedenti con successi davvero importanti come la mediazione tra Arabia e Iran che sta rivoluzionando l’intero Medio Oriente. Mentre gli Stati Uniti, proprio quando chiedono la più vasta rete di alleanze globali nella storia, sempre più spesso inciampano sulla loro stessa macchina burocratica che deve gestirle ma se ne sta dimostrando incapace. Delusione Blinken, diciamo noi, con Dipartimento di Stato e Amministrazione Biden che sulla politica estera zigzagano sempre inseguendo. E arrivare secondi in una gara a due vuol dire arrivare ultimi.

Affanno e segni di sclerosi

La diplomazia Usa in affanno o peggio, se addirittura si scrive di ‘segni di sclerosi’ (nessun riferimento al neo candidato democratico alla presidenza), ma a denunciare «un ritardo intollerabile nel designare un nuovo ambasciatore in Italia, nazione del G7 e paese membro della Nato». E Rampini, al contrario di noi, assolve Giorgia Meloni, sostenendo che troppo incerto post fascismo non c’entra. Non chiarito il concetto di ‘vero ambasciatore’, si parte del governo Draghi e si arriva in India. ConWashington ha aspettato due anni prima di nominarne uno in India, colosso che Biden vorrebbe al centro della sua «alleanza delle democrazie nell’Indo-Pacifico», con un bel po’ di confusione sul concetto di democrazie e di alleanze.

La telefonata Xi-Zelensky raccontata da Kiev

«Ho avuto una telefonata lunga e significativa con il presidente cinese Xi Jinping. Credo che questa chiamata, così come la nomina dell’ambasciatore dell’Ucraina in Cina, darà un potente impulso allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali», ha scritto su Twitter il presidente ucraino.

Nessun vincitore in una guerra nucleare

Nell’affrontare la questione nucleare, «tutte le parti interessate dovrebbero rimanere calme e sobrie, concentrarsi veramente sul futuro e sul destino di se stesse e di tutta l’umanità, e gestire e controllare congiuntamente la crisi», ha aggiunto Xi, nel resoconto del network statale ucraino Cctv. «Le relazioni Cina-Ucraina hanno attraversato 31 anni di sviluppo e raggiunto il livello di partenariato strategico –sempre versione di Kiev-, Apprezzo la ripetuta enfasi del presidente Zelensky su sviluppo delle relazioni e cooperazione con la Cina e ringrazio l’Ucraina per aver fornito grande assistenza all’evacuazione dei cittadini cinesi nel 2022».

Secondo quanto riporta Unian, l’Ansa di Kiev, dopo la telefonata, Zelensky ha nominato Pavel Ryabikin ambasciatore dell’Ucraina presso la Repubblica popolare cinese.

Poche cosa e nessun accordo di pace?

Nessuna bacchetta magica, ma azioni politiche su cui gli Stati Uniti sono costretti a fare buon viso a cattivo gioco. «E’ da tempo che chiediamo che la Cina ascolti la prospettiva ucraina», dichiara il portavoce del Consiglio per la sicurezza americana, John Kirby, ma non è più lui il segretario di Stato. Con una frecciatina finale in chiaro: «Sta all’Ucraina e Zelensky decidere se vogliono sedersi al tavolo dei negoziati per la pace».

Tra controffensiva e trattativa

La Cina che non tradisce Mosca –e nessuno poteva sperarlo-, e Zelensky non può permettersi di snobbare la seconda superpotenza mondiale e forse l’unica che ha un vero potere d’influenza sulla Russia. Quindi da Kiev grande rispetto per Xi nella speranza che qualcosa si muova lungo l’asse Pechino-Mosca, mentre cresce il ruolo globale della Repubblica Popolare. Non ancora un successo nei fatti –le nuove relazioni fra i due grandi nemici del Golfo, Arabia e Iran-, ma un inizio con Kiev che a suo modo lancia un massaggio a Washington, Nato e Ue.

O le armi e il sostegno per vincere la sempre più incerta a rinviata controffensiva militare, ma se siamo costretti a trattare, i mediatori li sceglieremo noi.

Le ambasciate americane ‘vuote’

Qui torna Rampini. Ambasciate che vuote non sono. I diplomatici di carriera sono sempre lì a svolgere la loro funzione. Nel caso dell’Italia a fare le funzioni di ambasciatore, ‘chargé d’affaires’, incaricati d’affari. Quanto basta per ciò che c’è da trattare. L’ultimo ambasciatore col pennecchio fu Lewis Eisenberg, nominato da Trump, e certo corteggiamenti delle destre italiane all’avversario, evidentemente Biden non le dimentica. Forse e per fortuna Roma evita Nancy Pelosi. «Per molto tempo Biden avrebbe tenuto la poltrona di Roma libera per la sua compagna di partito Nancy Pelosi, ex presidente della Camera nonché illustre esponente della comunità italo-americana».

Ma la Pelosi (dopo aver quasi provocato la guerra con la Cina) ‘ci snobba’, sia pure adducendo problemi familiari dopo l’aggressione al marito.

Anacronismo del sistema diplomatico Usa

Una debolezza e un anacronismo. Gli Stati Uniti sono l’unica grande nazione nel mondo a riservare circa il 30% dei posti di ambasciatori a personalità che non fanno parte del corpo diplomatico. Si tratta per lo più di alleati politici del presidente, o grandi finanziatori delle sue campagne elettorali. Insomma, delle ‘celebrity’ scelte per il loro prestigio, «o alle quali bisogna restituire dei favori. Un sistema che ricorda le consuetudini delle monarchie nell’Ancien Régime».

Con una storia di poche felici eccezioni in un sistema che rischia di premiare troppi illustri incompetenti, e mortifica la professionalità dei diplomatici di mestiere. ‘l’impero americano’ senza proconsoli all’altezza del compito. E la Cina sempre più probabile vincente anche in diplomazia.

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