Pasque di guerra, lettere e diari di soldati al fronte

Giovanni Comisso: «Era il Venerdì Santo di quella Pasqua di guerra, il 7 aprile del 1944, tutte le famiglie erano a tavola sul mezzogiorno con parenti e amici per condividere un pasto che si era cercato di migliorare fuori dalle restrizioni oramai consuete. In tutti era una speranza che, con la primavera, la guerra si concludesse più rapida; improvviso sibilò l’allarme […] Migliaia di esseri umani erano morti in quella stessa ora che celebrava la morte di Cristo».
La Grande Guerra: «La Pasqua verrà il 23 aprile, però io sarò in trincea». La Seconda Guerra mondiale: «È primavera, ma non si vede un risveglio». La Resistenza: le ultime lettere.

La Grande Guerra: «La Pasqua verrà il 23 aprile, però io sarò in trincea»

Questi semplici parole furono scritte da un fante italiano un giorno non precisato della primavera 1916 in una lettera indirizzata alla moglie. La lettera – ritrovata pochi anni addietro da una pronipote nel cassetto di un vecchio mobile – diceva tra l’altro: «Cara moglie ti faccio sapere che per grazia di Dio me la passo bene […] non pensare a me, ma ai nostri figli» e questa conclusione fu una sorta di presagio, perché l’autore morì nell’autunno successivo nel corso della nona battaglia dell’Isonzo, che costò trentanovemila morti per un’avanzata di pochi chilometri ad est di Gorizia.
Nel corso di tutta la Prima Guerra sono state scambiate miliardi di lettere e cartoline, moltissime delle quali simili o uguali a questa, espressione di sentimenti, di piccoli fatti quotidiani o semplici auspici di pace. Moltissimi della Pasqua non ne parlarono o non se accorsero nemmeno, perché, sfogliando altre raccolte di lettere pubblicate, nella data indicata non ci sono annotazioni particolari, ma solo la vita della trincea o del campo di prigionia.
La Pasqua del 1916 passò alla storia anche per un altro evento: a Dublino in Irlanda esplose una rivolta contro il dominio britannico (24 aprile) che fu repressa con una durezza feroce e che ancora oggi pesa come un macigno nelle relazioni tra i due popoli.

La Seconda Guerra mondiale: «È primavera, ma non si vede un risveglio»

Il Venerdì santo del 1944 Treviso subì un terribile bombardamento che, in uno scritto di Giovanni Comisso, fu ricordato con queste parole: «Era il Venerdì Santo di quella Pasqua di guerra, il 7 aprile del 1944, tutte le famiglie erano a tavola sul mezzogiorno con parenti e amici per condividere un pasto che si era cercato di migliorare fuori dalle restrizioni oramai consuete. In tutti era una speranza che, con la primavera, la guerra si concludesse più rapida; improvviso sibilò l’allarme […] Migliaia di esseri umani erano morti in quella stessa ora che celebrava la morte di Cristo».
Nel 1945 il giorno di Pasqua cadde invece il 1° aprile. In una lettera indirizzata al marito al fronte una donna austriaca sottolineava le condizioni splendide del tempo, anche se le preoccupazioni inespresse sembrano ben altre: con un linguaggio vago nel timore della censura postale e nel quale non accennava direttamente all’arrivo dell’Armata rossa a pochi chilometri da Eisenstadt, descrive solamente il sole e l’aria limpida di quelle giornate serene e però «senza risveglio».
Il 2 aprile i russi arrivarono a Wiener Neustadt e il 5 aprile a Vienna; la capitale austriaca fu però liberata completamente solo il giorno 13. Nel Nord Italia invece si combatteva ancora: il 6 aprile un forte bombardamento spianò la strada agli alleati che si avviarono finalmente verso nord nella notte tra il 9 e il 10.

La Resistenza: le ultime lettere

Il 5 aprile 1944, quattro giorni prima di Pasqua, a Torino, al poligono di tiro del Martinetto, furono fucilati otto partigiani da un plotone della Guardia Nazionale Repubblicana: Franco Balbis, Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Braccini, Enrico Giachino, Eusebio Giambone, Massimino Montano e Giuseppe Perotti. Nelle prime ore del 5 aprile Franco Balbis scrisse: «Colla coscienza sicura di aver sempre servito il mio Paese con lealtà e con onore mi presento davanti al plotone d’esecuzione col cuore assolutamente tranquillo e con la testa alta».
Negli stessi giorni in Toscana e nel Lazio si consumarono due eccidi ricordati come ‘stragi di Pasqua’: a Monte Morello, nei pressi di Sesto Fiorentino, il 10 aprile tedeschi e fascisti uccisero tredici civili e a Leonessa, nel Reatino, tra il 29 marzo e il 7 aprile, reparti della Wehrmacht e delle SS nel corso di un rastrellamento trucidarono cinquantuno civili.
In provincia di Cuneo, tra il 7 e il 12, centottanta partigiani, accerchiati dai tedeschi, riuscirono con gravi perdite a sfuggire all’annientamento. Fu il maggiore scontro in campo aperto tra tedeschi e partigiani avvenuto nel Cuneese, ma nell’estate successiva le formazioni partigiane si moltiplicarono in tutte le valli. Un anno dopo i partigiani di Cuneo avrebbero liberato la città prima degli alleati.

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