Elezioni che si sono trasformate in un voto di fiducia alla persona di Vucic – in carica dal 2012 – al termine di una campagna segnata da scambi di insulti e accuse. E dalla mobilitazione più nobile di attivisti secondo cui la democrazia serba è in pericolo. Vucic è apparso quasi quotidianamente in televisione –modello Milosevic di antica memoria-, brandendo la minaccia del caos nel Paese se la sua maggioranza non sarà rinnovata. Con la menzogna plateale secondo cui, «Non si tratta di me, del mio desiderio di rimanere al potere. Si tratta di loro che distruggono tutto. Ci vorrebbero 20 anni per riparare tutto». Lui, di suo, negli 11 anni ininterrotti di potere, ha già guastato molto.
La coalizione di opposizione è nata dalle manifestazioni contro la violenza che hanno attraversato il Paese a maggio, dopo la morte di 19 persone in due sparatorie, una delle quali in una scuola elementare. Di fatto, proteste antigovernative andate avanti per mesi. La geopolitica lontana lasciata alla propaganda di governo, contro i problemi della quotidianità del campare che più di 20 anni fa fece vincere Kostunica su Milosevic. «Serbia contro la violenza», in una campagna «in difesa di una vita senza paura dei potenti, in una società pacifica». Ovviamente con il miglioramento della situazione economica, gravata dall’inflazione.
Le elezioni coincidono con le votazioni locali che si svolgono nella maggior parte dei comuni, nella capitale Belgrado e nella provincia settentrionale della Vojvodina. Un recente sondaggio condotto dal sito web Nova Srpska Politicka Misao prevede in testa il partito di governo con il 39,8% dei voti, seguiti dall’alleanza ‘Serbia contro la violenza’ al 25,6% e dal Partito socialista del Ministro degli Esteri uscente Ivica Dacic, partner di lunga data di Vucic, con l’8,9%.
La Serbia, candidata ad aderire all’Unione Europea, deve prima normalizzare le relazioni con il Kosovo, la sua ex provincia a maggioranza albanese che ha dichiarato l’indipendenza unilaterale nel 2008 dopo la rivolta della guerriglia a sostegno occidentale e intervento militare Nato 1999 della fine degli anni ’90. Contingenti Nato e Ue accasati da allora in Kosovo, senza risultati si sistema apparenti.
L’inarrestabile Zelensky ha recentemente dichiarato di essere in possesso di ‘informazioni sensibili’ che indicano nei Balcani il prossimo probabile focolaio di conflitti in Europa. Minaccia Russa sull’Europa via Belgrado, ma anche a Bruxelles capiscono che –nonostante l’aiuto dell’incontenibile premier kosovaro Albin Kurti-, sono sparate al vento. Esorcismi contro il taglio di soldi e armi occidentali in via di esaurimento.
Tensioni a crescere regolate in genere dalla situazione precari dei 100mila serbi che vivono in Kosovo e che subiscono ripetuti episodi di discriminazione da parte del governo di Albin Kurti, provocatore di antica storia e reiterata distrazione Nata ed Ue, incapaci di imporre regole e poi farle rispettare. O sanzionare avendo di fatto l’onere del sostegno deli micro estato inadempiente a metà riconoscimenti internazionali.
Indire la questa elezione anticipata al 17 dicembre viene considerata una delle molte trovate dell’ultra decennale e spregiudicato premier Vucic. E non siamo ancora alla vigilia del Natale ortodosso che col calendario giuliano di Bisanzio ritarda di 15 giorni. Pesano attacchi politici personali anche sul fronte delle intimità sessuali di avversari, ed esercizio della forza attraverso l’uso spregiudicato degli apparati di sicurezza. Apparati che poi non riescono a prevenire atti di violenza armata modello americano che si ripetono: a maggio la sparatoria in una scuola di Belgrado nella quale hanno perso la vita nove persone.
Elezioni presidenziali lontane, ed attuali politiche ed amministrative. I 250 componenti dell’assemblea parlamentar che, pour avendone loro l’autorità costituzionale, daranno mandato al reiterato Vucic di formare il nuovi governo, quello attuale nelle mani della debole premier, Ana Brnabic, sua fedelissima.
Va aggiunto che dal 2012 –inizio dell’epoca politica Vucic- soltanto una volta i parlamentari hanno esercitato il loro mandato fino a conclusione della legislatura.