Arabia Saudita col nucleare e per giunta cinese?

L’Arabia Saudita vuole ‘la bomba’? La domanda sorge spontanea, vista l’attività diplomatica che sta mettendo in moto il principe bin Salman. Tanto che, per potere accedere ai segreti della tecnologia atomica (quella pacifica, sulla carta), l’uomo forte di Riad si è persino rivolto alla Cina.  

L’offerta cinese

Pechino pronta a costruire un impianto ‘chiavi in mano’, nella provincia orientale del regno, ai confini col Qatar. Una centrale nucleare a due reattori, che sorgerà a Duwaiheen, con una potenza di 2,8 Gigawatt. Una centrale nucleare per produrre tanta energia di cui però Riad non dovrebbe sentire una urgente necessità, visto che il Paese galleggia su un oceano di petrolio e che la rivoluzione energetica sul superamento dei combustibili fossili (‘Vision 2030’) viaggia verso un futuro lontano e gli sceicchi, sceglieranno certamente di allungare la transizione.

Gli americani timorosi

I sauditi si sono rivolti per primi agli Stati Uniti. E gli interessi incrociati su cui trattare, sarebbero molti. Primo fra tutti, secondo il Wall Street Journal, un reciproco riconoscimento diplomatico con Israele. Ma gli adviser presidenziali hanno messo in guardia Joe Biden sul rischio dell’uranio arricchito per costruirsi ‘la bomba’. E subito i ‘paletti’ americani: qualsiasi centrale nucleare saudita deve impegnarsi a rispettare, grammo per grammo, tutti i limiti posti all’arricchimento dell’uranio. Insomma, alla Casa Bianca (e in Israele) non vogliono ricadere nell’incubo di un ‘Iran nucleare 2’. Dunque, gli Stati Uniti potrebbero aiutare Riad, ma pongono condizioni severe, che, pare di capire, hanno finito per far perdere la pazienza a bin Salman.

Tra i due litiganti…

E ora la partita è ancora più delicata e complessa, perché è entrata in campo la Cina, ma, a sentire il Funancial Times, si sono fatti avanti anche Russia e Francia. Senza trascurare la Corea del Sud, che nei vicini Emirati Arabi Uniti ha realizzato un impianto già funzionante, a Barakah. Insomma, tutti hanno fiutato l’affare, perché i sauditi pensano di costruire ben 16 reattori, spendendo l’astronomica cifra di 100 miliardi di dollari. Tuttavia, gli analisti ritengono che l’opzione cinese sia solo un modo per esercitare pressioni sulla Casa Bianca. I sauditi sanno che il loro Paese è troppo importante per la politica estera degli Stati Uniti, e che Biden, prima o dopo, avrà un attacco di ‘realpolitik’ che lo obbligherà a chiudere un occhio. Se non tutti e due, come ha già fatto in passato.

Gioco pesante

Nel frattempo, bin Salman gioca pesante e guarda verso il colosso asiatico di Xi Jinping, che è pronto ad aiutarlo senza fare troppe domande ed evitando di tirare in ballo gli stretti controlli dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. «È pronto ad andare avanti con la compagnia cinese, se i colloqui con gli Stati Uniti dovessero fallire – scrive il Wall Street Journal – anche perché Pechino, probabilmente, non imporrà lo stesso tipo di  requisiti di non proliferazione, rendendola un partner più favorevole all’Arabia Saudita». Il prestigioso quotidiano Usa, sottolinea come questa sia l’opinione di un grande esperto di problemi energetici del Medio Oriente, Justin Dargin, del Carnegie Endowment for International Peace.

Casa Bianca al bivio

Ovviamente, la Casa Bianca è davanti a un bivio. Restare sulle proprie posizioni di difesa dello ‘status quo nucleare’, potrebbe richiedere un prezzo molto alto da pagare. Secondo gli analisti politici americani, Riad, specie dopo l’arrivo di Netanyahu al potere in Israele, non è più così ansiosa di scendere a patti con lo Stato ebraico. Tra le altre cose, pare che le richieste, a Biden, aumentino di volume ogni giorno che passa. L’Arabia vuole, anzi, ‘pretende’, di ricevere armi americane di ultima generazione, tecnologicamente molto avanzate. A cominciare dagli F-16. Inoltre, chiede un ‘patto di ferro’ sulla sicurezza (principalmente in funzione anti-iraniana) e, come abbiamo già detto, non tollera interferenze nell’eventuale processo di arricchimento dell’uranio.

‘Matrimonio di 100 anni’

Al Consiglio per la Sicurezza nazionale Usa, di questi tempi, quando si parla di Arabia Saudita, semplicemente non si sa che pesci pigliare, anche se, ufficialmente, si manifesta un ottimismo di facciata. Per avere un’idea della situazione e del significato della trappola diplomatica in cui potrebbero essersi cacciati gli americani, basta citare le parole di Sun Qin, ex Presidente della società cinese che costruisce le centrali atomiche: «Fare accordi di questo tipo, equivale a contrarre un matrimonio di cento anni. Dato il tempo necessario, dalle discussioni iniziali alla firma, proseguendo con la costruzione, la manutenzione e lo smantellamento dell’impianto». Concetto ribadito con forza da Jack Dutton, sul sempre rigoroso think-tank ‘Al Monitor’.

Quel matrimonio non s’ha da fare

Dalla geopolitica ai fatti, questo business Riad-Pechino ‘non s’ha da fare’. Come? Beh, le vie del dollaro sono infinite. E anche quelle delle minacce, pardon, delle ‘esortazioni diplomatiche’. È chiaro che molto dipenderà, anche, dall’atteggiamento che gli Stati Uniti assumeranno nei confronti degli ayatollah. Piano Verde o Rivoluzione energetica è uno slogan buono per tutte le stagioni saudite.

Ma il nocciolo della questione è sempre uno e uno solo: lo sviluppo del nucleare iraniano. O Biden è capace di metterci una pezza, oppure bin Salman è pronto a ‘sposarsi’ con i cinesi. Per cento anni.

 

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AVEVAMO DETTO

Pax americana in Medio Oriente con un’Arabia atomica oltre Israele?

 

 

 

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