Mesi difficili per Israele, l’analisi di Limes. Mai come prima. La guerra a Gaza continua, mentre i rapporti dello Stato ebraico con lo storico alleato statunitense sono ai minimi storici e la comunità internazionale non risparmia le critiche. Sul fronte interno, i familiari degli ostaggi, insieme ai critici del governo, chiedono sempre più a gran voce le dimissioni del premier Netanyahu e nuove elezioni, mentre i negoziati per un cessate-il-fuoco languono ormai da settimane, elencano Anna Maria Cossiga, Giovanni Caprara. Come se non bastasse, il governo più a destra della storia israeliana è stato scosso da un nuovo problema:
il rinnovo della legge per l’esenzione dal servizio militare dei haredim, gli ultraortodossi storicamente contrari, se non ostili, al sionismo e dediti all’esclusivo studio della Torah e del Talmud nelle yeshiva, gli istituti a loro riservati e sovvenzionati dallo Stato.
I haredim, oltre a non prestare servizio militare, non pagano le tasse e ricevono una sorta di stipendio per i loro studi. A loro modo di vedere, dedicarsi esclusivamente alle Sacre scritture e alla tradizione religiosa ebraica è un altro modo per occuparsi della sicurezza di tutti gli ebrei e di uno Stato che loro non hanno mai cercato di creare e per difendere il quale, nelle parole di un insegnate haredi di lungo corso, la vita di nessun ebreo dovrebbe essere messa a repentaglio.
Dagli anni di fondazione di Israele, questo ha creato una profonda divisione tra gli ultraortodossi e il resto del Paese. La stragrande maggioranza degli israeliani e delle israeliane è obbligata per legge a compiere il servizio militare e a pagare le tasse. Non solo: una volta terminata la leva, i cittadini diventano riservisti, teoricamente su base volontaria, e devono essere sempre pronti a rispondere alla chiamata del paese quando necessario per la sua sicurezza. La legge sull’esenzione dei haredim ha subìto nel tempo varie modifiche, più interventi sia da parte della Corte suprema, che la condanna come norma contraria all’eguaglianza di tutti i cittadini; sia da parte di vari governi che, in qualche modo, hanno cercato di conservarla, a loro vantaggio elettorale.
I partiti ultraortodossi hanno fatto parte di quasi tutti gli esecutivi e perdere il loro appoggio avrebbe condotto a una crisi. Cioè a nuove elezioni e a una conseguente perdita di potere e di seggi in parlamento.
Oggi, la storia si è ripetuta. Già il 10 marzo, all’approssimarsi della scadenza della legge di esenzione, il rabbino capo sefardita di Israele Yitzhak Yosef aveva dichiarato che gli ebrei ultraortodossi si trasferiranno all’estero ‘in massa’ se saranno obbligati a rispondere alla leva obbligatoria come tutti gli altri cittadini del paese. «Compreremo un biglietto e ce ne andremo», ha detto. Nessuno c’ha creduto, ma è accaduto. Il rabbino capo è figlio di Ovadia Yosef, storico capo spirituale del partito Shas, che fa parte dell’attuale coalizione di governo. Per Netanyahu, perdere l’appoggio dei haredim sefarditi sarebbe più problematico che non vederli lasciare in massa il paese.
Il premier israeliano, però, deve fare i conti anche con gli esponenti politici contrari all’esenzione e in particolare con Benny Gantz, capo dell’opposizione ma attualmente membro del gabinetto di guerra, e con il ministro della Difesa Yoav Gallant che appartiene al Likud, il partito di maggioranza relativa guidato da Netanyahu. Gantz ha definito la bozza di legge di esenzione una ‘linea rossa’, annunciando che avrebbe lasciato il governo di emergenza nazionale se la legge fosse passata. Gallant ha invece dichiarato che non avrebbe appoggiato il provvedimento.
Il rabbino capo Yosef ha infine fatto marcia indietro e ha dichiarato che dovrebbe essere esentato dalla leva soltanto chi studia la Torah a tempo pieno. Probabilmente, nemmeno a lui piacerebbe vedere Shas fuori dal governo e i suoi parlamentari perdere i seggi.
La soluzione del rebus, tuttavia, è giunta da terze parti. Il governo ha fatto di tutto per presentare un’altra legge a favore dei haredim entro il 31 marzo, ma non ce l’ha fatta. Benché sia improbabile che le nuove direttive entrino immediatamente in vigore, in base alle decisioni del procuratore generale Gali Baharav-Miara dal primo aprile i giovani ultraortodossi dovranno adempiere agli obblighi di leva e al raggiungimento dell’età richiesta saranno privati dello stipendio concesso loro dallo Stato.
Ormai da molti anni i haredim stessi vengono considerati una sorta di minaccia per il paese dell’high tech e delle start-up. Il tasso di crescita della popolazione ultraortodossa, con il 4% di incremento annuo, è il più alto di ogni altra fascia demografica nei paesi sviluppati. L’alta fertilità, la giovane età media al momento del matrimonio e gli standard di vita in miglioramento contribuiscono a spiegare la situazione.
Secondo i dati 2023 dall’Israel Democracy Institute, i haredim sono il 14% della popolazione, con circa 1,3 milioni di persone su un totale di oltre 9 milioni; quasi il doppio rispetto al 2009, quando erano 750 mila. L’incremento è avvenuto nonostante la decrescita del tasso di fertilità tra le donne haredim da 7,5 a 6,4 figli per donna. Numero di nascite comunque ben più elevato di quello della popolazione di Israele non ultraortodossa, che è di 2,5 figli per donna.
Inoltre, secondo le stime del National Economic Council israeliano, entro il 2050 gli ebrei ultraortodossi saranno un terzo della popolazione, con profonde implicazioni sul piano macroeconomico e su quello del mercato del lavoro. Sebbene negli ultimi anni sia in corso una graduale integrazione degli haredim nella società israeliana, essi vivono ancora ai margini della società per quanto riguarda l’istruzione, la presenza nel mondo del lavoro e, come si è detto, la contribuzione al sistema di tassazione e di leva.
L’impianto educativo indipendente della comunità haredi, che include l’insegnamento elementare e secondario, prevede un limitato insegnamento dell’inglese, della matematica e delle discipline scientifiche, le cosiddette materie secolari, cosa che rende i giovani totalmente impreparati ad affrontare le sfide di un paese dove il settore high tech costituisce il 18% del prodotto interno lordo e impiega, direttamente o indirettamente, il 14% della forza lavoro salariata. Va aggiunto che nell’anno scolastico 2022-2023 un quinto del totale degli studenti del paese era iscritto alle scuole ultraortodosse.
Poco prima dell’insediamento dell’attuale governo, il quotidiano finanziario Calcalist ha pubblicato un articolo su come i cittadini israeliani di altri gruppi paghino tasse sei volte più alte rispetto agli ultraortodossi. In particolare, riguardo le imposte sul reddito, riflesso della partecipazione al mercato del lavoro, gli israeliani ‘secolari’ contribuiscono alla fiscalità mediamente nove volte di più rispetto agli ultraortodossi. Nel complesso, circa il 90% delle tasse statali vengono versate dalla popolazione non ultraortodossa, mentre poco più del 2% dai haredim.
La disparità è stata confermata dalla recente approvazione del bilancio statale emendato per via della guerra a Gaza. Da un lato il budget prevede maggiori spese sul piano militare e compensazioni per i proprietari di immobili e attività commerciali che hanno subito il contraccolpo della guerra; dall’altro, nonostante le indicazioni della Banca centrale per ridurre le spese non legate alle operazioni belliche, i fondi destinati alle scuole religiose e le esenzioni fiscali per i haredim rimangono in vigore, anche se campano comunque molto vicini alla povertà.
Il sistema educativo e i bassi livelli di occupazione e contribuzione della comunità haredim pongono Israele di fronte a una sfida di natura strategica. Sebbene il sistema economico del paese si stia dimostrando resiliente allo shock della guerra in corso, in base alla situazione generale sembra necessario integrare la componente ultraortodossa nella società per sostenere una crescita inclusiva, l’economia futura e il sistema di sicurezza nazionale, scrive Limes.
La situazione venutasi a creare con la fine dell’esenzione dalla leva potrebbe condurre, con il tempo, a una maggiore integrazione della ‘tribù haredi, a tutti i livelli, aggiunge Limes. Forse. Certo, le resistenze da parte della comunità, soprattutto del suo settore più anziano e più legato alla tradizione, potranno rallentare il cambiamento. Tuttavia, l’atteggiamento dei più giovani verso il mondo esterno sta già mutando e una piccola parte di loro, per esempio, sta già combattendo nell’esercito.
La ‘soluzione’ del problema haredi potrebbe condurre, almeno in parte, a una pacificazione della società israeliana, le cui divisioni sono una minaccia alla tenuta di Israele e, forse, alla stessa esistenza dello Stato ebraico così come lo conosciamo, comprese le sue molte debolezze democratiche.