
Sull’orlo della follia. Il ministro della Difesa israeliano Gallant lascia pochi dubbi. «Raggiungeremo anche i luoghi dove non abbiamo ancora combattuto, nel centro della Striscia di Gaza e nel sud, e soprattutto nell’ultima roccaforte rimasta ad Hamas, Rafah». L’uso della forza, i bombardamenti, i carri armati e l’artiglieria – che hanno fatto 100mila morti, feriti e dispersi tra i palestinesi (dell’Unrwa)-, per liberare i 136 ostaggi a Gaza, la motivazione ufficiale per chi ci vuol credere.
L’Egitto «vittima collaterale» (come l’effetto di certe bombe), dell’oltranzismo israeliano e delle indecisioni o complicità statunitensi. La massa di disperati palestinesi che premono sul confine del Sinai, le operazioni militari Usa in Siria e Iraq, il Canale di Suez quasi deserto per la sfida allo Yemen Houthi nel Mar Rosso, e un Paese praticamente sull’orlo della fame. Detto certamente in maniera certo meno esplicita, il succo dell’incontro del ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry col collega francese Stephane Sejourne. Il pericolo di un conflitto più ampio in Medio Oriente se non sarà raggiunto subito un cessate il fuoco a Gaza.
«La guerra a Gaza, le minacce che vediamo nei confronti della navigazione nel Mar Rosso, le operazioni militari che hanno avuto luogo in Siria e Iraq, nonché la situazione militare ai confini israelo-libanesi, sono tutti segnali dell’escalation che sta scivolando verso un conflitto più ampio», ha avvertito Shoukry, sottolineando il pericolo che un’avanzata israeliana sulla città di Rafah spinga centinaia di migliaia di palestinesi a riversarsi nel Sinai dando inizio a una nuova Nakba.
Escalation dalle conseguenze imprevedibili, l’avvertimento. Perché in un Paese ridotto alla disperazione, la guerra più diventare la scappatoia più facile dallo spettro alla fame. Gli egiziani non vogliono i profughi di Gaza in casa, cedendo di fatto il Sinai all’espulsione etnica palestinese da parte israeliana.
Di fatto, attraverso il collega francese, Shoukry si è rivolto al Segretario di stato Usa Blinken nella sua quinta missione nella regione, a cercare un accenno di svolta che finora è mancato. L’Egitto più di altri sta subendo i riflessi dell’offensiva militare israeliana. E non solo alla sua porta orientale, a Rafah. Nel Mar Rosso l’azione armata anglo-americana contro lo Yemen Houthi che prende di mira i mercantili diretti ai porti israeliani, sta avendo forti ricadute sull’economia egiziana, senza ottenere risultati decisivi.
Il Canale di Suez che fornisce all’Egitto -alle prese con una pesante crisi finanziaria- gran parte delle sue entrate in valuta estera, assieme al turismo. Sulle sue rive, si trovano alcune delle località balneari egiziane più famose. Ma la caduta di detriti di missili e droni abbattuti sul Sinai è un altro incubo per la vacillante industria del turismo egiziana, segnala Michele Giorgio da Gerusalemme.
Il traffico che attraversa Suez -prima del 7 ottobre ci passava il 12% del commercio globale – è diminuito del 40% perché molti mercantili ora scelgono la rotta lunga ma sicura aggirando l’Africa. Meno pedaggi da incassare, e parliamo di miliardi, ma anche una diminuzione delle importazioni del paese, in particolare di carburante, cibo e materie prime necessarie all’industria.
Al Cairo cresce l’insoddisfazione per la politica degli Stati uniti a favore di Israele, mentre non rassicura allo stesso modo tutti gli alleati arabi ma privilegia l’Arabia saudita e il Golfo. Il presidente al-Sisi segnala invano che sarebbe meno costoso per tutti nella regione se Washington cercasse di porre fine all’assedio israeliano al popolo di Gaza, imponendo al premier Netanyahu la nascita di uno Stato palestinese nei Territori occupati del 1967. Ma qui siamo alle illusioni geopolitiche, al momento
L’Egitto deve tenere conto anche dell’instabilità in Libia e Sudan alle sue porte, e lo segnala inascoltato. Debolezza politico diplomatica Usa che, unita al sostegno quasi incondizionato di Israele, potrebbe sfociare in scontro militare aperto con l’Iran che l’Egitto non vuole, il segnale dal Cairo. Al-Sisi lamenta anche il mancato intervento di Washington sull’Etiopia che, completando la diga sul Nilo azzurro, ha ridotto il flusso delle acque a disposizione degli oltre cento milioni di egiziani.
La settimana scorsa l’Egitto ha espresso il suo sostegno al presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud contro l’accordo dell’Etiopia con il Somaliland che concede ad Addis Abeba un porto e una base sul Mar Rosso. Altra crisi che gli egiziani attribuiscono al silenzio degli Stati uniti nei confronti delle politiche dell’Etiopia.