Perù: la rivolta dei diseredati. Stato di emergenza e crisi permanente

Il contestato governo della presidente Dina Bolarte al centro delle proteste popolari in Perù dichiara lo stato di emergenza nei dipartimenti di Cusco, Lima e Puno, e nella provincia di Callao dove la protesta popolare dilagante repressa con sempre più violenza -oltre le 50 vittime-, rischia di trasformarsi in guerra civile.
Contemporaneamente la procura indaga la nuova presidente Boluarte, l’ex vice del presidente Castillo destituito ed arrestato, con la grave accusa di ‘genocidio’
Le nuove proteste che partono dal Sud del Paese, roccaforte di Castillo e dei movimenti sociali di contadini e indigeni, sono l’espressione ultima della crisi politica, con una miriade di partiti che non riescono neppure a concordare nuove elezioni.

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Perù: la rivolta dei diseredati

Perù sull’orlo della guerra civile, sconvolto da più di un mese di proteste popolari e scontri con forze di polizia particolarmente violente. La crisi è esplosa quando l’ex presidente Pedro Castillo è stato arrestato per aver tentato di sciogliere il Congresso che a sua volta aveva votato per destituirlo e metterlo sotto accusa. Scontro di poteri con connotazioni politiche confuse rispetto al presidente espressione della popolazione contadina più emarginata. Dopo la destituzione di Castillo il Parlamento ha concesso la fiducia ad un premier e a una compagine governativa di centrodestra.

Da allora le proteste dei sostenitori di Castillo ma non soltanto, nella parte più povera del Paese, a chiedere le dimissioni della presidente Dina Boluarte e nuove elezioni parlamentati immediate.

La presidente sotto accusa

Nei giorni scorsi la Procura generale del Perù ha aperto un’indagine sull’operato della presidente Dina Boluarte, del primo ministro Alberto Otárola e dei ministri di Interno e Difesa per le violenze della polizia. Grave crisi istituzionale, oltre la dilagante rivolta di piazza. L’ufficio del procuratore Patricia Benavides, scrive il quotidiano ‘La Republica’, vuol sapere se la polizia ha agito con violenza eccessiva per ordini ricevuti.

Un paese allo sbando

Alle prese con la peggior crisi politico-sociale da anni nel paese andino, la presidente Dina Boluarte, ex alleata politica di Castillo, nel tentativo di fermare la rivolta -perché ormai di questo si tratta-, ha proposto elezioni presidenziali e legislative nel 2024. Ma i sostenitori di Castillo –in gran parte campesinos e indigeni appartenenti alle classi economicamente più disagiate- chiedono che la presidente si dimetta e che l’ex presidente venga rilasciato.

Castillo, outsider della politica

Pedro Castillo, un ex insegnante di sinistra di ispirazione marxista, era stato eletto presidente nel luglio del 2021 vincendo al ballottaggio con soli 50mila voti di vantaggio contro la rivale Keiko Fujimori, populista di destra e figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, che aveva governato il paese in maniera autoritaria dal 1990 al 2000. Nelle contemporanee elezioni parlamentari le liste di sinistra avevano ottenuto solo 42 dei 130 seggi del parlamento, le liste di destra 47 e il centro 41.

Fallimento di una speranza

Nell’anno e mezzo della sua presidenza Pedro Castillo non è riuscito ad imprimere al paese la svolta promessa in campagna elettorale. Costretto a fare i conti con un parlamento frammentato in cui nessun partito aveva i numeri per governare da solo, l’ex presidente ha nominato ben cinque diversi esecutivi, contribuendo all’annosa instabilità politico-istituzionale del Paese. Da questa ingovernabilità, il suo tentativo di sciogliere il parlamento, finito con la sua destituzione ed arresto. Un atto di forza della politica politicante che ha scatenato gli elettori delle aree rurali e i più poveri che si sentono abbandonati dalla politica e lasciati indietro nella crescita economica.

Presidenti e corruzione a raffica

Dina Boluarte è la sesta persona a ricoprire il ruolo di presidente dal 2016. E quasi tutti i predecessori degli ultimi trent’anni sono stati incriminati per corruzione. Le contestazioni di piazza contro la nuova presidente Boluarte sono iniziate a dicembre. Quotidianamente sono state bloccate strade e autostrade, sono stati organizzati scioperi, manifestazioni e posti di blocco in almeno dieci delle venticinque regioni del paese, sino allo ‘stati di emergenza’ nella capitale Lima e in altre tre province.

Machu Picchu

Nei giorni scorsi, nella regione di Cuzco e del celebre sito archeologico del Machu Picchu, poliziotti e soldati, dopo scontri violenti, hanno bloccato l’aeroporto e poi la ferrovia. L’intera area resta isolata e ciò induce forti timori. Gli scontri più violenti si sono verificati finora a Juliaca, nella regione di Puno, sulle Ande, dove qualche giorno fa un poliziotto è stato bruciato vivo dai manifestanti e dove le vittime certe della protesta sono state almeno diciotto.

Organizzazione degli Stati Americani

Oltre all’inchiesta penale aperta dalla procura, è arrivata a Lima una delegazione della Commissione interamericana per i diritti umani (un organo dell’Organizzazione degli Stati Americani) per valutare «la situazione dei diritti umani nel contesto delle proteste sociali». Il Coordinamento nazionale per i diritti umani accusa il governo peruviano di aver assunto una «deriva autoritaria». «Stiamo perdendo le nostre libertà, ci sono detenzioni arbitrarie, un uso sproporzionato della forza da parte di polizia e militari, perquisizioni illegali di sedi politiche».

Castillo incompetente

Durante i diciassette mesi del suo mandato, Castillo aveva nominato e poi sostituito circa ottanta funzionari governativi, aveva dato ruoli decisionali ad alcuni suoi alleati privi di esperienza politica, e aveva cambiato cinque governi. E mentre si era presentato come un candidato di rottura, contro di lui erano state aperte sei inchieste per corruzione. Castillo si era inoltre spostato politicamente sempre più a destra, assumendo posizioni molto controverse su diritti e aborto, tra le altre cose. E si era anche avvicinato ad altri governi populisti dell’America Latina, persino quello dell’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro.

Avversari politici feroci

Fin dall’insediamento, Castillo aveva dovuto affrontare un Congresso molto ostile e composto per due terzi da forze di centro, di destra e di estrema destra. La sua presidenza era stata ostacolata anche dall’attiva opposizione delle élite del paese, che di fatto non avevano mai accettato che un semplice insegnante delle Ande prendesse il potere. Castillo non era insomma mai stato realmente in grado di governare, al punto che il primo dicembre l’Organizzazione degli Stati Americani aveva chiesto una «tregua politica di cento giorni alle varie forze politiche».

I golpe del 7 dicembre

Mercoledì 7 dicembre Castillo si era trovato ad affrontare il terzo tentativo da parte del Congresso di metterlo sotto accusa. Alla vigilia del voto, Castillo aveva annunciato un ‘governo di emergenza’, «per ristabilire la legge e la democrazia». Tre ore dopo l’annuncio, le forze armate avevano diffuso un comunicato in cui dicevano che Castillo non aveva l’autorità per sciogliere il Congresso con un decreto straordinario. Il Congresso aveva poi votato la decadenza di Castillo e lui, mentre cercava di rifugiarsi all’ambasciata messicana, era stato arrestato.

Il giorno stesso, la vicepresidente Dina Boluarte aveva giurato come presidente definendo la mossa di Castillo un colpo di stato. E subito erano iniziate le prime manifestazioni di protesta.

Non di nuovo Castillo ma nuove elezioni

I manifestanti non chiedono un reintegro dell’ex presidente Pedro Castillo, ma la sua liberazione dal carcere, la rimozione della presidente Dina Boluarte, lo scioglimento del Congresso, la convocazione di un’Assemblea Costituente ed elezioni anticipate in tempi brevi.

Corruzione, politica e malaffare

In una attenta ricostruzione del Post. Nel 2017 Ollanta Humala, presidente del Perù dal 2011 al 2016, fu arrestato con l’accusa di corruzione nell’enorme scandalo Odebrecht, che riguardava la più grande società edile dell’America Latina e che coinvolgeva 14 paesi del continente. Nel 2019 Alan García, presidente dal 2006 al 2011, si suicidò poco dopo che la polizia era entrata nella sua casa a Lima per arrestarlo. Novembre del 2020 il Congresso vota l’impeachment del presidente Martín Vizcarra, accusato di aver accettato tangenti quando era governatore della regione di Moquegua. Vizcarra era diventato presidente nel 2018 prendendo il posto di Pedro Pablo Kuczynski, che si era dimesso dopo essere stato a sua volta accusato di corruzione. Al posto di Vizcarra fu nominato Manuel Merino, che però si dimise nel giro di pochi giorni in seguito a proteste violente. Il 17 novembre il parlamento del Perù elesse Francisco Sagasti nuovo presidente ad interim del paese, il terzo nel giro di una settimana, poi sostituito da Castillo.

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AVEVAMO DETTO

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