
Senza parteggiare per Hamas, Hezbollah o altre formazioni islamiste radicali, occorre riconoscere che gli ultimi avvenienti segnano una svolta storica in Medio Oriente, e non solo. Risulta incrinato il mito dell’invincibilità di Israele e dell’onnipotenza dei suoi servizi di intelligence che, questa volta, sono stati clamorosamente ‘bucati’, come bene ha spiegato stamane Piero Orteca.
L’errore compiuto, a ben guardare, è del tutto analogo a quello che condusse alla sconfitta Usa in Vietnam e, più recentemente, in Afghanistan. Gli americani si illusero che la loro superiorità tecnologica garantisse loro di prevalere sui vietcong e i mujaheddin afghani, armate di popolo straccione. Non fu così, come tutti sappiamo, carri armati potenti e aerei avanzati non garantiscono affatto la vittoria quando i nemici si muovono sul loro territorio con azioni di guerriglia, e sono mossi da forti identità politiche nazionali o religiose. fanatismo ideologico e/o religioso.
Gli israeliani, con un governo debole e una società profondamente spaccata, continuano a pensare ai loro passati successi in guerre tutto sommato convenzionali. Tuttavia è più facile battere sul campo di battaglia l’esercito egiziano o siriano di quanto non sia vincere combattenti che praticano forme di guerra ibrida che colpiscono anche la popolazione civile.
Inevitabile concludere che la superiorità tecnologica non garantisce un bel niente, anche perché, nel frattempo, pure i nemici si sono dotati di armi tecnologicamente sofisticate. Né bisogna scordare che, nelle guerre, è soprattutto il fattore umano a contare.
Le forti appartenenze sono dunque in grado di superare qualsiasi gap tecnologico. E non bastano i muri, per quanto alti siano, a proteggere i cittadini da nemici che sono animati da un odio antico e alimentato.
Ci si chiede, per esempio, cosa si proponga di ottenere Israele inviando quella lunghissima colonna di mezzi corazzati verso Gaza, oppure bombardando obiettivi in una città in cui è in pratica impossibile distinguere le abitazioni civili dai siti militari. L’esito non può essere che un massacro, in grado di alienare a Israele altre simpatie e di rimettere in gioco l’unità dei Paesi arabi.
Certo, alcuni filmati sono davvero raccapriccianti. Ho visto un bambino israeliano catturato e portato a Gaza circondato da alcuni ragazzini palestinesi che lo picchiavano urlandogli in faccia ‘Ebreo!’. E il viso terrorizzato del bambino israeliano vale più di mille giustificazioni geopolitiche di Gerusalemme.
La superiorità tecnologica e militare non è da sola in grado di garantire sicurezza. La soluzione dovrebbe invece essere politica, con la creazione di uno Stato palestinese dotato di confini certi e sicuri. Come riuscirci, in presenza di movimenti il cui scopo formale resta ancora la distruzione di Israele è il mistero politico da svelare.
Probabilmente nel futuro di una classe politica israelo-palestinese, araba ed internazionale di ben altra portata rispetto alle attuali leadership in campo.