
L’articolo 9 della Costituzione giapponese –molto simile al nostro articolo 11 in cui affermiamo che ‘l’Italia ripudia la guerra’- recita che «Il popolo rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali». Il popolo forse ma il governo no, e non è né tranquillizzante né bello, sottolinea Marco Santopadre su ‘Pagine Esteri’.
Le opposizioni denunciano il carattere militarista della decisione e il pericolo che questa scateni un’ulteriore escalation con Pechino e Pyongyang, e sottolineano che l’aumento delle spese militari sottrae importanti risorse ad un paese già sottoposto ad una forte crisi fiscale e ad un indebitamento pubblico da record. L’approvazione dell’aumento delle spese per la Difesa è stata preceduta da una polemica interna al Partito Liberal Democratico – principale forza del governo– tra coloro che proponevano di utilizzare i titoli di stato per coprire le nuove spese e il premier che invece ha optato per un aumento delle tasse.
Il boom delle spese militari servirà per sostenere la competizione militare nella regione dell’Indo-Pacifico. L’obiettivo del Giappone, affermano fonti del governo Kishida, è dotarsi di una forza convenzionale di deterrenza in grado di tenere testa alle ambizioni militari della Repubblica Popolare Cinese e di difendersi dalle minacce della Corea del Nord. Difficile da sostenere senza un accordo militare preventivo con gli alleati chiave, Stati Uniti, Corea del Sud e Australia. La Nato dell’Indo-Pacifico.
Desecretato un documento del 1991, quando Giappone e Cina promisero di non minacciarsi militarmente. Dal documento, rilanciato dall’agenzia di stampa ‘Kyodo’ (in Italia dall’agenzia Nova), emerge che nel 1991 l’allora primo ministro giapponese Toshiki Kaifu incontrò a Pechino l’omologo cinese Li Peng, e lo rassicurò che il Giappone non sarebbe tornato a militarizzarsi, dato il profondo rimorso ancora avvertito dal Paese per il suo passato imperialista. Mentre allora la spesa militare complessiva della Cina rappresentava allora appena il 20 per cento del bilancio della Difesa giapponese dell’epoca, già alla bella cifra di 33,1 miliardi di dollari.
A spingere Tokyo ad adottare una politica di difesa più aggressiva, afferma il Washington Post, sarebbe stata anche l’invasione russa dell’Ucraina. «Il Giappone voleva limitare la sua spesa in materia di difesa ed evitare l’acquisto di sistemi d’arma d’attacco. Tuttavia, la situazione internazionale non ci consente di farlo» ha dichiarato al quotidiano Usa l’ex ambasciatore giapponese a Washington Ichiro Fujisaki. «In realtà già dal lungo governo del nazionalista Shinzo Abe, esponente della corrente più conservatrice del Partito Liberal Democratico (al governo quasi ininterrottamente dal 1955), Tokyo ha intrapreso il cammino verso una politica estera più aggressiva e militarista», precisa Pagine Esteri.
Con Shinzo Abe, riformata la Costituzione per affermare il cosiddetto «diritto all’autodifesa collettiva consentendo alle forze armate di intervenire in un conflitto non solo per difendere il Giappone ma anche un alleato contro un attacco esterno». E aumenti degli stanziamenti per la Difesa fino a portare Tokyo al nono posto della classifica mondiale della spesa militare. Una accorta campagna stampa tra Ucraina e timori di un imminente attacco cinese a Taiwan hanno fatto aumentare il sostegno dell’opinione pubblica giapponese – tradizionalmente pacifista – al riarmo e alla creazione di un esercito forte e moderno, sottolinea Marco Santopadre.
Riarmo bellicoso. Il Ministro della Difesa Yasukazu Hamada prevede di portare a due i reggimenti di stanza sull’isola di Taiwan. E di triplicare le unità di difesa contro i missili balistici nelle Nansei, un arcipelago in parte contiguo a Taiwan, mentre le Forze di autodifesa aerea giapponesi sono state inviate per la prima volta nelle Filippine per esercitazioni congiunte. Applausi di parte americana, non semplice testimone. «E l’ambasciatore di Washington a Tokyo, Rahm Emanuel, ha definito la misura «una pietra miliare epocale nelle relazioni tra i due paesi, indispensabile per fare dell’Indo-Pacifico un territorio libero e aperto».
Di segno opposto, ovviamente, la reazione di Pechino. «Tokyo accusa falsamente la Repubblica Popolare Cinese di ricattare il Giappone attraverso misure economiche coercitive e di intraprendere attività militari minacciose che destano grande preoccupazione nella comunità internazionale». L’ambasciata cinese in Giappone ha affermato che la nuova Strategia di sicurezza di Tokyo viola numerose intese raggiunte negli ultimi anni tra i due governi (L’accordo segreto di sui abbiamo detto sopra) e ha invitato il Giappone a non giustificare il proprio riarmo con la «teoria della minaccia cinese», considerando i due Paesi come «partner e non come reciproche minacce».
Acque territoriali nel Mar cinese meridionale contese da Pechino con Filippine e Vietnam, e Tokyo che parteggia e cerca rapporti con l’Indonesia, finora mediatrice nei conflitti regionali. Anche la Corea del Kim ha reagito all’aumento record delle spese militari da parte del Giappone, nonostante le sua atomiche e i suoi missili balistici che gli fa volare sempre più vicino. «Un pericoloso errore che muterà in maniera netta il contesto di sicurezza regionale». Realtà oggettiva, la crisi di sicurezza nella Penisola coreana e nell’Asia orientale, che ogni protagonista scarica sull’avversario potenziale nemico.