La Siria ieri ha accusato Israele di aver attaccato l’aeroporto militare di Nairab, vicino ad Aleppo, segnala Michele Giorgio sul Manifesto. E la tv Al Mayadeen ha aggiunto che i raid aerei sono stati quattro. L’aviazione israeliana, che giorni fa aveva ucciso a Damasco, Ravi Mousavi, uno dei comandanti più importanti della Guardia rivoluzionaria iraniana, ormai attacca ovunque, dal Libano alla Siria, obiettivi e milizie affiliate a Teheran.
Venerdì sera, jet non identificati (ma tutti sanno che erano israeliani) hanno colpito un convoglio di camion e tre edifici usati da gruppi sostenuti dall’Iran nella città siriana di Albukamal lungo un valico di frontiera strategico con l’Iraq. E sempre Michele Giorgio da Gerusalemme ci informa che è stato colpito un comandante delle Forze di mobilitazione popolare irachene (Hashd Shaabi) e ucciso quattro persone.
«Non si può più parlare di guerra a bassa intensità», la considerazione geopolitica guardando oltre Gaza. Le forze israeliane martellano il sud del Libano. Ieri il villaggio di Kfarkela che considerano una roccaforte di Hezbollah filo iraniano presente in Siria e Libano. Da parte sua il movimento sciita libanese ha rivendicato un attacco contro le postazioni israeliane nell’area delle Fattorie di Shebaa.
In Libano la tensione politica interna cresce con il pericolo di una guerra aperta con Israele. Il leader della destra estrema cristiana Samir Geagea, accusa Hezbollah di portare avanti un conflitto senza l’autorizzazione dal Parlamento e del governo. Ma stupire, Geagea ha espresso solidarietà alla popolazione di Gaza sotto attacco, presa di posizione insolita per la destra libanese storicamente ostile ai palestinesi e amica di Israele.
Un giornalista della tv Al-Quds è stato ucciso insieme ad alcuni membri della sua famiglia in un attacco aereo a Nuseirat. Sono oltre 100 gli operatori dell’informazione palestinesi uccisi dal 7 ottobre. Tre fratelli – Sobhi, Sady e Ibrahim Yassin-coraggiosi tra le molte vittime, denunciano di essere stati spogliati fino alle mutande e sottoposti a torture. «Fumavano e spegnevano le sigarette sulla nostra schiena, ci spruzzavano addosso sabbia e urina».
Attorno, se non è guerra è fame, segnala Avvenire. Giordania, Libano ed Egitto pagano il prezzo della povertà, mentre la guerra altrui costa 104 milioni al giorno. Nei Territori palestinesi, l’Anp non può pagare stipendi e pensioni perché Israele si trattiene le tasse raccolte per conto di Ramallah. Stop permessi di lavoro a circa 200mila palestinesi nelle imprese agricole ed edili israeliane. Turismo religioso morto con 70 alberghi chiusi. Impatti della crisi di Gaza sui tre Paesi arabi vicini, 9,3 miliardi di euro, trascinando sotto la soglia della povertà 230mila persone.
L’Amministrazione Biden senza attendere la decisione del Congresso ha dato il via libera all’invio in Israele di un’altra fornitura di armi da 147,5 milioni di dollari. A comunicarlo è stato il segretario di Stato Antony Blinken che tra qualche giorno sarà di nuovo in Medio Oriente dove continuerà ad «esprimere la sua preoccupazione» per l’emergenza umanitaria a Gaza causata proprio dalle bombe Usa sganciate sui palestinesi.
L’Agenzia stampa Vatican News, riferisce di come il premier israeliano Netanyahu abbia definito la guerra che sta conducendo a Gaza il conflitto «di una moralità senza pari». Una beffa al mondo da parte di un personaggio che offende per primo il Paese che rappresenta e i pochi alleati internazionali che gli rimangono accanto.
Richieste di dimissioni con proteste di piazza, mentre resta sospeso il processo per corruzione che lo attende a fine carica pubblica, anche i ricorsi alle Nazioni Unite e al tribunale penale internazionale per crimini di guerra e per «atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza».