Com’è noto, i vertici dell’Unione Europea hanno deciso di bandire i motori a benzina e diesel a partire dal 2035. Tale decisione ha suscitato in Europa tantissimi dubbi e perplessità. È evidente a tutti, o quasi, che la transizione green effettuata in tempi così rapidi è foriera di guai a non finire. Non è difficile prevedere che causerà la crisi della nostra industria automobilistica, con enormi ricadute sul Pil e, soprattutto, sui livelli occupazionali.
In altre parti del mondo, al contrario, tale decisione ha suscitato grande entusiasmo, peraltro legittimo. Ne trarrà vantaggio l’industria automobilistica della Repubblica Popolare Cinese, maggior produttore mondiale di auto elettriche.
Assai significativo il commento del “Global Times”, il quotidiano in lingua inglese del Partito comunista di Pechino. Scrive infatti: “Gli esperti hanno affermato che l’adozione da parte della Ue di veicoli elettrici aumenterà le esportazioni cinesi verso il mercato europeo”. E ancora: “Le esportazioni cinesi di veicoli a nuova energia potrebbero aumentare di almeno il 50% su base annua quest’anno, fino a circa un milione di unità”.
In effetti, secondo le stesse fonti cinesi, la Repubblica Popolare nel 2022 ha già esportato 679.000 veicoli elettrici, con un aumento del 120% rispetto al 2021.
Ovviamente l’entusiasmo cinese è del tutto legittimo. Occorrerà molto tempo prima che le nazioni europee riescano ad avere una vera industria produttrice di automobili elettriche, mentre la Cina, in questo campo, è pronta da tempo. Da notare, inoltre, che le macchine elettriche “made in China” hanno prezzi contenuti e molto appetibili, visto il basso costo del lavoro e l’assenza di problemi sindacali nella Repubblica Popolare.
Siamo quindi in presenza di una vera e propria trappola pronta a scattare. E il governo di Pechino gongola pensando al proprio Pil in aumento, e alla maggiore dipendenza Ue dalla produzione del Dragone. Tutto questo alla faccia del “decoupling” tra le economie occidentali e cinese promosso da Donald Trump, e in seguito approvato – in teoria – anche da Joe Biden.
Il governo italiano ha promesso di combattere nel Parlamento europeo per abolire il divieto voluto dai vertici di Bruxelles. Ma molti dubitano che abbia la forza per rovesciare decisioni già prese da Ursula von der Leyen e compagnia.
Ci attendono insomma tempi duri e difficili. In nome di una transizione green troppo frettolosa, rischiamo il collasso di un settore fondamentale della nostra industria. E questo vale non solo per l’Italia, ma anche per Germania e Francia. Gli unici a sorridere soddisfatti sono Xi Jinping e il gruppo dirigente che lo circonda.