Impossibile non sentirsi intrusi nel racconto che non ci appartiene. Che non ha storia, non possiede passioni, struggimenti, sogni. Che non conosce utopia.
Dobbiamo tornare a narrare i nostri territori, a costruire mappe dei desideri, dei luoghi magici, a scriverci che cosa siamo, che cosa facciamo, gli incontri, le facce belle, quelle buffe dei nostri amici, le loro poesie, le nostre. Nella realtà, senza aspettare che qualcuno lo faccia al posto nostro.
Per un abitare civile, non da intrusi nel racconto d’altri, servono sapienza e amore. Un amore fatto di memoria, gentilezza, parole che si sciolgono nell’incanto di un canto, testimonianza di quella cura disinteressata che costruisce cattedrali di bellezza e di ascolto, nel dubbio che origina il pensiero libero.
Occorre ricordare, riportare al cuore. In un legame profondo tra memoria e futuro che si esprime in un presente sapiente, non votato alla distruzione, ma alla costruzione complessa e dolce del patrimonio immateriale che rende unica questa terra. Una terra sulla quale camminiamo leggeri, lavoriamo, fatichiamo, sogniamo e alziamo i calici al cielo per celebrare il dono dell’incontro, il miracolo della meraviglia, l’arte che si fa compagna di viaggio.