Per non essere intrusi nella nostra storia

“Chi dimentica il proprio passato si ritrova occasionalmente intruso nel racconto d’altri” [cit. Giovanni Lindo Ferretti]

Ci penso, in questi giorni di fine inverno, mentre una narrazione tossica annichilisce speranze, spezza le gambe a ogni idea di umanità, rende opaca la nostra epoca. Così il passato, per un verso o per l’altro, svanisce in un niente. Viene dimenticato, e in questa dimenticanza si perdono i riferimenti col presente, ogni cosa è come nascesse al momento, senza radici, senza domande, senza dubbi. E il futuro sparisce in un qui e ora costante, sotto un cielo senza stelle.

Morego, Valpolcevera, Genova, un po’ più di 100 anni fa

Impossibile non sentirsi intrusi nel racconto che non ci appartiene. Che non ha storia, non possiede passioni, struggimenti, sogni. Che non conosce utopia.

Dobbiamo tornare a narrare i nostri territori, a costruire mappe dei desideri, dei luoghi magici, a scriverci che cosa siamo, che cosa facciamo, gli incontri, le facce belle, quelle buffe dei nostri amici, le loro poesie, le nostre. Nella realtà, senza aspettare che qualcuno lo faccia al posto nostro.

Per un abitare civile, non da intrusi nel racconto d’altri, servono sapienza e amore. Un amore fatto di memoria, gentilezza, parole che si sciolgono nell’incanto di un canto, testimonianza di quella cura disinteressata che costruisce cattedrali di bellezza e di ascolto, nel dubbio che origina il pensiero libero.

Occorre ricordare, riportare al cuore. In un legame profondo tra memoria e futuro che si esprime in un presente sapiente, non votato alla distruzione, ma alla costruzione complessa e dolce del patrimonio immateriale che rende unica questa terra. Una terra sulla quale camminiamo leggeri, lavoriamo, fatichiamo, sogniamo e alziamo i calici al cielo per celebrare il dono dell’incontro, il miracolo della meraviglia, l’arte che si fa compagna di viaggio.

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