
L’Ucraina, all’indomani dell’attentato mortale, aveva negato qualsiasi coinvolgimento e ha continuato a negare la propria eventuale responsabilità quando è stata interpellata da Washington riguardo alle conclusioni dell’intelligence Usa. Salvo ribadire che l’operazione dimostrerebbe le capacità che hanno i servizi di sicurezza ucraini di compiere operazioni ardite e non solo di sabotaggio sul territorio russo. Che suonava da subito come una ammissione indiretta, anche questa come le attuali accuse Usa, da prendere col beneficio del dubbio.
Sebbene la Russia non abbia reagito con una rappresaglia diretta all’uccisione di Dugina, gli Usa ritengono che questo tipo di azioni, sebbene di alto valore simbolico abbiano una scarsa valenza rispetto al quadro generale della guerra e possano spingere Mosca a reagire con attacchi mirati contro la leadership ucraina. Insomma, rischio attentati mirati già più volte denunciati ad esempio contro Zelensky.
I funzionari americani, che hanno parlato con il Nyt, sospettano che il vero obiettivo dell’attentato fosse il padre di Darya Dugina, e che gli agenti che l’hanno eseguito credevano che sarebbe stato nel veicolo con sua figlia. Gli Usa, scrive il Nyt, sono rimasti frustrati dalla mancanza di trasparenza dell’Ucraina riguardo alla vicenda, soprattutto perché da parte statunitense c’è sempre stato un grande sforzo di condividere le informazioni di intelligence con gli ucraini.
Quasi in coro con i colleghi Cia, il Servizio di sicurezza federale russo, l’FSB, accusa Kiev di aver assoldato una sicaria. La killer sarebbe una cittadina ucraina di 43 anni, insediata a Mosca con la propria figlia a metà luglio per spiare i movimenti di Dugina, scelta come tramite per colpire il padre che invece quella serà non salì in auto con la figlia. A missione parzialmente compiuta la killer sarebbe fuggita in Estonia.
Il clamoroso gesto di accusare pubblicamente l’alleato in guerra segnala la differenza tra gli interessi americani e quelli ucraini. E contiene una serie di avvertimenti, rileva acutamente Limes. Washington contraria ai frequenti sabotaggi condotti dagli ucraini in Russia ed il messaggio è: non portate la guerra sul territorio della Federazione.
Tre i destinatari: Kiev, i suoi sponsor europei più fervidi (polacchi in testa, desiderosi di assestare un colpo definitivo ai russi) e Mosca. Col trittico mobilitazione, annessioni, minacce nucleari, Putin ha tracciato due linee rosse: gli occidentali non devono attaccare il territorio nazionale né favorire attivamente il cambio di regime a Mosca. Questo monito clamoroso a Kiev è la risposta americana: «non sobilleremo il caos dall’interno della Russia».
Quindi, l’amministrazione Biden intende limitare i sabotaggi e l’eliminazione di funzionari filorussi anche nei territori occupati. Ufficialmente per non indurre il Cremlino a rappresaglie contro gli alti papaveri del governo ucraino o, al peggio, a rinnovare gli attacchi missilistici contro civili o infrastrutture strategiche.
Infine, gli americani non accusano l’intero governo ucraino, ma una parte di esso, per sollecitare il presidente Volodymyr Zelensky a ulteriori purghe interne per rendere Kiev più controllabile da lontano. E a farlo sapere ai russi. Un avvertimento non a fermare, ma a moderare la controffensiva. Gli Stati Uniti ricordano agli ucraini e dimostrano ai russi che non sosterranno qualunque ambizione di Kiev.
Soprattutto ora che il Pentagono ritiene molto concreta la possibilità di riconquistare la Crimea, vogliono limitare la sconfitta della Russia al territorio ucraino. Per non indurre il nemico a reazioni inconsulte (la Bomba). «Nella certezza che le pressioni su Putin in patria e all’estero (Cina) siano già sufficienti a indebolire il regime moscovita. Senza bisogno di un’ulteriore spinta da ovest».