Nel 1792 scoppiò la guerra della ‘prima coalizione’ e la Francia dovette affrontare l’Austria, la Prussia, la Spagna, l’Inghilterra e il regno di Sardegna. Nel mese di settembre fu occupata la contea di Nizza, che al tempo era piemontese, e i francesi si spinsero fin sulle creste delle Alpi Marittime. La situazione strategica era però complessa: a nord le montagne non permettevano il transito di grandi forze e a sud la Riviera ligure era troppo stretta. Ai francesi e ai piemontesi non rimase altro che presidiare i passaggi alpini obbligati e trascorrere l’inverno in borghi isolati sulle montagne. Seguì una guerra di colpi di mano e piccoli scontri, ma anche di spie: una spia piemontese ad esempio – in circa quaranta giorni di cammino – arrivò fino a Barcelonette e Grenoble per riferire sulla disponibilità di farina e altre vettovaglie delle truppe francesi. Bonaparte, che aveva studiato per mesi la geografia dei luoghi, dopo aver assunto il comando dell’Armata d’Italia, passò attraverso il colle di Cadibona nell’aprile 1796. Sconfisse i piemontesi in pianura e in pochi mesi fu padrone del nord Italia. Ci fu un altro passaggio delle Alpi da parte di Napoleone nella seconda campagna d’Italia nel 1800: al passo del Gran San Bernardo, nonostante fosse maggio, c’era ancora molta neve, la prima che Napoleone avrebbe incontrato in guerra. Quella volta però vinse a Marengo.
Poche campagne militari furono preparate con tanta accuratezza come la campagna di Russia. Furono disegnate nuove carte geografiche e predisposti magazzini dalla Prussia alla Polonia, per non parlare delle armi e delle munizioni e perfino di un laboratorio da campo destinato alla realizzazione di litografie. A Parigi – particolare poco noto – furono addirittura stampate false banconote russe e altri documenti ufficiali dalle tipografie segrete di Fouché: due carri si aggregarono alle colonne in partenza verso oriente con questo carico nascosto da impiegare per creare confusione tra i russi. Napoleone credeva di aver pianificato il suo più grande successo militare, ma le cose andarono diversamente. All’inizio della campagna Austria e Prussia sembravano alleate dell’imperatore, ma da solo l’esercito francese assommava a più di mezzo milione di uomini. Alla fine di giugno del 1812 cominciò la marcia su Vilna (Vilnius, in Lituania) dove Napoleone puntava per dividere in due l’esercito russo. L’occupazione della città da sola non fece però raggiungere a Napoleone il suo scopo perché le forze russe iniziarono a ritirarsi. La strategia napoleonica di sconfiggere il nemico in una battagli decisiva falli quasi dall’inizio e, nonostante le vittorie di Vitebsk e Smolensk, l’esercito russo – anche dopo aver subito gravi perdite – restava sostanzialmente intatto. Fu soprattutto grazie a Kutuzov – che conosceva la superiorità tattica francese e la evitava accuratamente – che l’esercito russo continuò a sfuggire alle manovre francesi.
A Borodino, il 7 settembre, i francesi ottennero una vittoria tattica con uno spaventoso numero di perdite, ma l’esercito russò riuscì a sfuggire ancora una volta. Il 15 settembre fu occupata Mosca, ma nemmeno questo successo portò alla vittoria. Dopo l’incendio della città, durato quattro giorni, i rifornimenti francesi, già duramente provati, collassarono. Napoleone cercò allora di trattare con lo zar, ma non ottenne risposta. Mentre l’esercito francese apparentemente vittorioso si indeboliva di giorno in giorno, quello russo al contrario si rafforzava e, oltre alle truppe regolari che progressivamente prendevano fiducia in se stesse, a combattere i francesi si aggiunsero anche volontari contadini che attaccavano le colonne dei rifornimenti. Il 17 ottobre si decise l’abbandono di Mosca e il 19 cominciò la ritirata. A rendere più lente le colonne francesi furono centinaia di carri che trasportavano il bottino, ma ben presto ci si rese conto che si trattava di un peso inutile: reparti di cosacchi avevano cominciato ad assalire sui fianchi i francesi, che provati dalla fatica e sorpresi ogni volta non riuscivano a reagire. In quel momento i russi cominciarono a contrattaccare con vigore e la crisi definitiva iniziò ai primi di novembre, quando la temperatura scese sotto zero e cominciarono le prime nevicate.
Sulle cause che portarono alla drammatica ritirata si è discusso e si continuerà a farlo ancora a lungo. In realtà, a parte i rigori estremi del clima (successivamente la temperatura scese a meno venti gradi e anche più), l’esercito francese che aveva occupato Mosca era già indebolito. La stessa rapidità delle marce forzate in estate aveva prodotto dei vuoti nei reparti che non erano stati colmati e i successivi combattimenti avevano provocato anche la perdita di numerose artiglierie e altri materiali. A questo si aggiunga che, per la prima volta, Napoleone aveva esitato, non aveva più preso decisioni con sua celebre fulmineità. L’altra grande questione fu che tutto l’esercito, abituato a vincere in qualunque circostanza, cominciava a manifestare un crollo nel morale, anche se fino al passaggio della Beresina, pur in mezzo a inaudite difficoltà, sostanzialmente si mantenne saldo. Vi fu poi l’abbandono da parte dei prussiani che videro in quell’occasione la possibilità di scrollarsi di dosso la condizione di subalternità che Napoleone aveva loro imposto dopo il 1809. E ai prussiani ben presto si aggiunsero gli austriaci. La campagna di Russia aveva consumato tutte le risorse dell’impero. Erano caduti anche i veterani, tra i quali moltissimi avevano seguito l’imperatore dalla campagna d’Italia. La Grand Armée era stata comunque sconfitta.