Negli ultimi giorni, tre importanti istituti di emissione hanno alzato i loro tassi di riferimento, il costo del denaro, con una strategia concatenata, a effetto-domino, dettata dal dilagare di un’inflazione inarrestabile. La BCE di Francoforte (al 2%), la Federal Reserve americana (al 4%) e la Bank of England (fino al 3%), e in questo modo, hanno lanciato un messaggio chiaro e inequivocabile: se la recessione fa paura, ancora più timori suscita quella che ormai potremmo definire “pandemia inflazionistica”. I vertici delle banche centrali a Washington, Bruxelles e Londra hanno spiegato ai mercati, che la loro priorità assoluta è quella di combattere il rialzo generalizzato dei prezzi. Questo dev’essere chiaro, specie per quei governi che (come accaduto a Liz Truss in Inghilterra) vagheggiano irrealistici sogni di crescita, nel momento in cui è necessario difendere l’equilibrio finanziario dei sistemi.
Ma molti nell’Eurozona, continuano a minimizzare, colpevolmente, il pericolo inflazione. Ma se le banche centrali parlano chiaro e i mercati recepiscono il messaggio subito, i politici non hanno alcuno spazio di manovra per continuare a bluffare. Parlando in Lettonia, la Presidente della BCE ha voluto chiarire “che una piccola recessione, da sola, non basta a sconfiggere l’inflazione”. Che vuol dire? Significa che, al contrario di quello che pensano alcuni fautori del “deficit spending”, favorire la crescita facendo debiti, non funziona. Quindi, andare avanti con la manovra monetaria, continuando a spingere i tassi al rialzo. Chimera della Banca centrale europea, riportare l’aumento dei prezzi, l’inflazione, nel limite del 2% annuo.
La natura dell’inflazione attuale è molto complessa e, probabilmente determinata anche dalla domanda “drogata” dai superstimoli post-pandemici, ma nell’Eurozona tutto è più complicato. L’inflazione “armonizzata”, al 10,7%, è una media statistica che nasconde grosse differenze di base tra i Paesi che compongono l’area. La centralizzazione della leva monetaria, insomma, ha effetti a macchia di leopardo sugli Stati che adottano la moneta unica. Così come l’inflazione “disaggregata” sostanzialmente diversa, anche gli effetti recessivi sui singoli sistemi saranno altamente specifici.
Come riporta il Financial Times, il rappresentante italiano alla BCE Fabio Panetta, ha denunciato il rischio di risolvere un problema e di aggravarne un altro: guai a sottovalutare i pericoli di una recessione “indotta”, che potrebbe sommarsi a quella che già si sta sviluppando sotto traccia. I tedeschi (e i “nordici”), però, da quest’orecchio non ci sentono. E così i Paesi con un settore pubblico carico di debiti, l’Italia tra questi, è meglio che non si facciano troppe illusioni.
Dovranno pagare, presto, interessi più alti. E che soluzione c’è per trovare i soldi? Quella vecchia come il cucco: tagli alla spesa, ancora debiti e nuove tasse. Gli italiani sono avvisati.
L’aumento del costo del denaro avrà impatto sulle rate e sui tassi di riferimento per prestiti e mutui. L’aumento sui mutui a tassi variabile sarà attorno ai 40-50 euro valuta il Codacons che ha verificato l’aumento delle rate già registrato rispetto allo scorso anno che, nel caso di un nuovo mutuo a tasso fisso da 200 euro della durata di 20 anni, arriva fino ad un massimo di 3.100 euro. L’aumento varato dalla Bce, assieme al caro-bollette e una crescita record dei prezzi al dettaglio. Un aggravio di spesa aggiuntivo che impoverirà gli italiani e aumenterà il rischio di ritardi nei pagamenti delle rate, con i nuclei più in difficoltà che a fine mese dovranno scegliere se pagare le bollette o la rata del mutuo.