Nuovo ministro degli Esteri cinese, un segnale all’America

Il nuovo ministro degli Esteri cinese, l’ex ambasciatore negli Usa Qin Gang, cinguetta via twitter tutta la sua simpatia per il popolo americano affermando che opererà per ricucire le relazioni bilaterale, e alla Borsa cinese immediatamente i titoli tecnologici fanno un balzo all’insù.
Qin ricorda di aver assunto l’incarico di ambasciatore nel 2021 «in un momento di gravi sfide per le relazioni Cina-Usa», e di aver visitato nel corso del suo mandato «22 Stati, agenzie governative, il Congresso, think tank, imprese, fabbriche, porti, aziende agricole, scuole e campi sportivi» e di essersi fatto nel frattempo «molti amici per tutti gli Usa».
Il cinguettio di Qin si conclude con l’auspicio di poter vedere, durante il suo mandato, «il mutuo rispetto, la coesistenza pacifica e la cooperazione tra i nostri due Paesi»

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Il ministro cinese più americano tra tutti

In Cina come altrove la nomina dei ministri ha sempre una forte valenza politica, soprattutto se il ministero coinvolto è importante. Gli analisti hanno quindi accolto con grande interesse l’avvento al ministero degli Esteri di Pechino di Qin Gang.
Diplomatico piuttosto giovane (56 anni) per gli standard cinesi, il nuovo ministro ha nel suo curriculum un incarico molto significativo visti i tempi che corrono. E’ stato infatti ambasciatore della Repubblica Popolare a Washington nel 2021-2022. Periodo piuttosto breve, che gli ha comunque consentito di intrecciare buoni rapporti (e soprattutto rapporti diretti) con l’establishment Usa.

La portata politica della nomina

La notizia non è certo di poco conto. Prima di lasciare l’ambasciata cinese nella capitale statunitense, Qin Gang ha ritenuto opportuno congedarsi dagli americani con un editoriale sul “Washington Post”, nel quale ha citato una frase piuttosto sibillina del poeta T.S. Eliot: “La fine è il punto da cui partiamo”.
Naturalmente sono subito fioccate le interpretazioni che, come sempre accade in questi casi, divergono tra loro. La più accreditata è che, con questa nomina, Xi Jinping, uscito trionfatore dal XX congresso del Partito, abbia voluto lanciare un segnale di distensione a Biden e al mondo politico Usa in genere.

Un uomo di Xi Jinping

Si noti innanzitutto che il nuovo ministro non avrebbe potuto ottenere la nomina se non fosse vicino al segretario, che ormai controlla totalmente il Politburo e tutti gli organi decisionali del Partito/Stato. In secondo luogo, sembra ovvio che Xi, con questa mossa, abbia voluto dire agli americani – e all’intero Occidente – che la Repubblica Popolare intende migliorare i rapporti, soprattutto economici, con i Paesi occidentali.

Disastro putiniano e Covid

I dirigenti cinesi stanno assistendo con un misto di ira e di frustrazione al disastro putiniano in Ucraina, e cercano ora di migliorare i rapporti con le nazioni occidentali che da sempre rappresentano il loro miglior partner economico e commerciale. Il cosiddetto patto di “amicizia senza limiti” con Putin ha messo a serio rischio le relazioni della Repubblica Popolare con Usa e Ue.
Se rammentiamo anche gli enormi danni provocati dalla pandemia e dalla politica del “Covid zero”, alla quale Xi ha rinunciato, con una vera e propria giravolta, solo il mese scorso, è evidente che la Cina ha urgente bisogno di far ripartire un’economia che ora è in affanno.

Ripresa cinese via Usa ed Europa

Per ottenere tale risultato la Russia di Putin serve a poco, considerata la modestia dei reciproci scambi economici e commerciali. Servono, invece, gli Stati Uniti e i principali Paesi dell’Unione Europea, Italia inclusa, che hanno con Pechino forti legami nel settore dell’import/export.

In questo senso, avere un ministro degli Esteri che conosce bene Washington e le principali capitali occidentali serve molto, a Xi e al nuovo gruppo dirigente che lo circonda, per far ripartire il Paese. Senza scordare che, nella nomenklatura cinese, il ministro degli Esteri occupa una posizione di primissimo piano, come già avveniva con Zhou Enlai ai tempi di Mao.

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