Secondo molti analisti, la sua elezione potrebbe modificare l’equilibrio delicato che esiste tra la Cina e Taiwan, e perfino provocare una crisi tra i due Paesi. Il problema internazionale noto. La Cina, che considera Taiwan una propria provincia ribelle che presto o tardi dovrà tornare a far parte del paese. L’antico riconoscimento internazionale, Stati Uniti compresi, dell’esistenza di ‘una sola Cina’ che col suo poderoso crescere economico in concorrenza, ora Washington rinnega favorendo gli autonomismi interni.
Ancora a capodanno il presidente cinese Xi Jinping ha definito la «riunificazione tra Cina e Taiwan, inevitabile». Mentre il presidente statunitense Biden ha promesso più volte che gli Stati Uniti difenderanno l’isola in caso di un’invasione cinese. Questi fattori hanno inserito Taiwan al centro di una disputa internazionale molto più ampia e pericolosa.
Sabato a Taiwan si vota per eleggere il presidente e rinnovare il parlamento. Le presidenziali sono a turno unico: chi ha più voti ottiene la carica. Lai Ching-te è ritenuto il candidato favorito, ma il voto è ancora piuttosto aperto. Tra i concorrenti chiave: oltre a Lei del DPP ci sono Hou Yu-ih del Kuomintang (KMT), il principale partito conservatore del paese, che da alcuni decenni è anche quello più favorevole a mantenere buoni rapporti con la Cina, e Ko Wen-je, l’ex sindaco della capitale Taipei che si presenta come un tecnocrate indipendente. I sondaggi danno tutti e tre i candidati abbastanza vicini: Lei al 36 per cento, Hou al 31 per cento e Ko al 24 per cento. Sondaggi sempre oscillati e partita aperta.
L’isola ultimo rifugio dei nazionalisti di Chiang Kai-shek contro la rivoluzione vincente di Mao. Taiwan è di fatto indipendente dal 1949, e non è mai stata governata dal Partito Comunista Cinese, che domina la Cina. Ma la Cina l’ha sempre considerata come parte del proprio territorio, e nel corso dei decenni si è sviluppato un peculiare equilibrio per cui, per non provocare la Cina, la maggior parte della comunità internazionale non riconosce Taiwan a livello formale, ma la tratta ugualmente come uno stato indipendente.
Per questo, per esempio, Taiwan non può avere ambasciatori all’estero (non è un paese riconosciuto come indipendente) ma ha comunque dei ‘rappresentanti’ negli altri paesi, che di fatto svolgono le stesse funzioni. Taiwan può anche partecipare alle Olimpiadi, ma solo con lo strano nome di ‘Taipei cinese’, sempre per non far arrabbiare la Cina.
Il candidato ‘bomba’ per Pechino. William Lai, che ha 64 anni, fa politica a Taiwan da quasi 40 anni. Studiò medicina e trascorse anche un periodo nella prestigiosa università americana di Harvard, ma alla fine degli anni Ottanta, quando Taiwan cambiò nome e divenne una democrazia, abbandonò il mestiere per dedicarsi alla politica. Parlamentare e sindaco della città di Tainan, una delle più grandi del paese. Tra il 2017 e il 2019 divenne primo ministro. Attualmente è vicepresidente. Da sempre sostenitore dell’indipendenza di Taiwan, è considerato dalla Cina come un «separatista», che deve essere tenuto lontano dal potere a tutti i costi.
In tempi più recenti, contro certe provocazioni Usa (la visita della ex speaker del Congresso Nancy Pelosi), William Lai Ching-te ha cercato di evitare lo scontro troppo acceso e diretto con la Cina.
Ma alcuni analisti ritengono che la sua elezione potrebbe creare reazioni da parte della Cina, e una crisi tra i due paesi. «Per Taiwan, dichiararsi indipendente significherebbe provocare una rottura definitiva con la Cina, con conseguenze probabilmente molto pesanti, che potrebbero comprendere una risposta militare o perfino un’invasione cinese dell’isola», scrive il Post. Mentre sono pochi nell’isola a credere che gli Stati Uniti affronterebbero un guerre diretta con la Cina per quell’isoletta ricca soprattutto di Microchip.
Forse il principale punto di forza (e di rischio) della campagna di Lai Ching-te è la sua candidata vicepresidente, Hsiao Bi-khim, una politica di 52 anni che è stata rappresentante di Taiwan negli Stati Uniti (l’ambasciatrice ufficiosa) e che è una delle figure più amate e apprezzate nel paese. Hsiao è nata in Giappone da genitori americani e taiwanesi, e divenne famosa quando si diede da sola il soprannome di ‘cat warrior’, la gatta guerriera.
Soprannome in risposta ai diplomatici cinesi, che qualche anno fa cominciarono ad adottare una politica molto aggressiva definendosi ‘wolf warrior’, guerrieri lupo. All’aggressività del lupo, Hsiao contrappose il gatto, che è un animale grazioso ma al tempo stesso deciso e graffiante.