Fuga di iper cervelli. L’amministratore delegato di Inflection AI Mustafa Suleyman ha lasciato l’azienda per guidare la divisione che raggruppa tutti i progetti di intelligenze artificiali di Microsoft. Notizia bomba. Suleyman è uno degli imprenditori più noti del settore, che lo scorso giugno aveva ricevuto 1,3 miliardi di dollari in investimenti, raggiungendo una valutazione di 4 miliardi. Che voleva moltiplicare in un colpo solo a 100.
A pochi giorni di distanza anche Emad Mostaque, amministratore delegato di Stability AI, ha lasciato il suo incarico, ultima di una lunga serie di dimissioni di prestigio che hanno interessato la startup. Dimissioni avvenute in un periodo in cui il settore delle AI «sembra attraversare una fase di transizione».
Tradotto dal Wall Street Juournal: – aziende che per prime avevano investito nelle intelligenze artificiali generative – stanno faticando a trovare applicazioni abbastanza utili da giustificare la spesa.
Finora davvero piccole cose. Copilot, un assistente digitale che aiuta i lavoratori, a un prezzo di 30 dollari al mese per utente, a usare i programmi Microsoft 365, come Word, Excel e PowerPoint. Più apprezzata è quella che permette di trascrivere e riassumere quanto viene detto nelle videochiamate e nelle mail, ma ha anche registrato alcune critiche che riguardano soprattutto la scarsa affidabilità delle AI nel generare slide per presentazioni o altri tipi di documenti. Poco oltre il giocattolo.
Questi problemi sono dovuti alle cosiddette «allucinazioni», degli errori fattuali in cui il sistema produce risultati che non hanno legami con la realtà. Esempio, con il riassunto di una videoriunione preparato da Copilot che riferisce riferisse che tale Bob aveva parlato di «strategia del prodotto», anche se alla riunione non se ne era discusso e tra i partecipanti non c’era nessuno chiamato Bob.
Ora invita alla prudenza anche Gary Gensler, presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza delle borse valori, che ha coniato il concetto di «AI washing» per indicare la strategia usata dalle aziende che nominano le intelligenze artificiali nei loro report, spesso senza alcuna base concreta.
Secondo uno studio di Goldman Sachs, il 36% delle aziende dell’indice azionario della borsa statunitense che raccoglie le 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione, ha menzionato le AI nel report del quarto trimestre del 2023. Senza che nessuno sapesse su cosa e come sarebbe stata applicata utilmente. Fa moda e ‘mercato’. Sulla scia dell’App Store di Apple, che contribuì a diffondere iPhone e permise la nascita di molti servizi di enorme successo. Ma a mesi di distanza GPT Store cammina lenta e stentata per aver cercato di mettere assieme troppe cose diverse tra loro assieme.
Sviluppare AI generative è molto costoso e i servizi a loro legati non sono ancora ‘profittevoli’; per questo a guadagnare spazio sono soprattutto aziende come Microsoft (che ha un’alleanza con OpenAI e ha investito in molte altre startup), Google, Meta e Amazon, che hanno enormi capitali da investire e possono contare su un vasto ecosistema di servizi su cui poggiarsi. In questi mesi si è quindi consolidato l’accentramento di potere in poche aziende, che ha creato una situazione di enorme svantaggio per quelle più piccole e in ascesa.
E il mondo continua a ruotare come aveva sempre fatto anche prima delle AI, che poi in americano diventa lo scioglilingua di Eiai, e speri che il cane non ti morda.
Paradosso emblematico, marchingegni complicatissimi per riassunti da ‘copia incolla’ e di diffuso uso giornalistico come accaduto e cointestato (con causa a danni) dal New York Times. E anche Meta e Google hanno discusso di raccogliere dati protetti da copyright da tutta internet, «anche a rischio di subire azioni legali». Alcuni manager di Meta, l’anno scorso, arrivarono a considerare l’acquisto della casa editrice statunitense Simon & Schuster per «procurarsi opere lunghe» su cui sviluppare le intelligenze artificiali. Quanto a Google, sempre l’anno scorso ha rivisto le sue condizioni d’uso per permettere all’azienda di «usare documenti disponibili su Google Docs, recensioni di ristoranti su Google Maps e altri materiali online per i suoi prodotti di AI».
Secondo Nilay Patel, direttore del sito The Verge, «questi casi sono come il lancio di una monetina. (…) Se il sistema legale di per sé non è prevedibile, il diritto d’autore è intrinsecamente imprevedibile».
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