
Minerale d’uranio, la ‘torta gialla’ al controllo radiazioni
A metà del 2002 l’amministrazione Usa reduce dal terribile 11 settembre delle Torri gemelle dell’anno prima, e a caccia di nemici a cui farla pagare, sosteneva che Saddam Hussein fosse in possesso di uranio e altro materiale necessario per la costruzione di una bomba atomica. In quel periodo il SISMI, il servizio segreto estero italiano (oggi Aise), era molto impegnato accanto alla Cia nella guerra al terrorismo, tra al Qaeda e altro. E ‘da quell’ambiente’ (ambiente di spie) -formula Wikipedia-, «sarebbero stati prodotti o rivelati i documenti che attestavano tentativi da parte di Saddam Hussein in Iraq di acquistare polvere di uranio, ‘yellowcake’ dal Niger». Sulla base di quei documenti e di altri falsi, i governi degli Stati Uniti e del Regno Unito (Bush jr, e Tony Blayr), accusando l’Iraq di possedere armi di distruzione di massa, nel 2003 scatenarono la seconda guerra occidentale contro l’Iraq che ci concluse con la conquista del Paese, la cattura e la condanna a morte di Saddam Hussein e il caos ancora irrisolti in tutta l’area.
Con carte intestate e timbri dell’ambasciata nigerina a Roma, fu realizzato un falso protocollo d’intesa fra Niger e Iraq sull’uranio. Secondo le ricostruzioni di stampa (Financial Times, Sunday Times), il SISMI fu il primo ad avere l’informazione, ma l’aveva archiviata perché ritenuta inattendibile. L’informazione era arrivata da un faccendiere italiano, ex spia, Rocco Martino, che avrebbe poi venduto il documento ai servizi segreti francesi, ma anche lì ritenuta spazzatura. Nel 2001 Martino aveva consegnato il suo fascicolo al MI6 a Londra, con ‘qualche interesse politico in più’ sull’argomento. Dopo l’11 settembre 2001, l’informativa fu passata a Greg Thielmann della CIA.
L’informativa passò da una scrivania all’altra: molti analisti della CIA denunciarono l’inconsistenza della storia. I servizi statunitensi cercavano prove e collegamenti tra gli attentati di New York e l’Iraq di Saddam Hussein, per cui ogni documento in qualche modo legato all’allora rais iracheno era attentamente studiato, compreso il fascicolo di Martino. Ne nacque un ‘dossier’ che ipotizzava un accordo fra Iraq e Niger sulla fornitura di 500 tonnellate di uranio l’anno. Il dossier venne subito contestato, sia per incongruità interne (prima l’incapacità delle miniere nigerine a produrre più di 300 tonnellate all’anno), sia per riscontri diretti sul campo.
Ma George Tenet, allora direttore della CIA, decise di non ignorare il ‘dossier’ (Tenet, di origine albanese, era già stato decisivo nell’intervento Nato contro la Jugoslavia per il Kosovo). Nonostante la diffidenza sul dossier all’interno della CIA fosse forte, una ‘torta di disinformazione’ finita sulle pagine del New York Times. E persino una ‘dissenting opinion’ della ‘National Intelligence Estimate’ e una del dipartimento di Stato, secondo cui «tutta la questione era altamente sospetta», perché l’uranio del Niger era controllato direttamente dalla Francia. Nel momento in cui la CIA frenava, il falso documento di Martino fu pubblicato sul settimanale Mondadori ‘Panorama’ (di proprietà dell’allora premier Berlusconi).
Il 24 settembre 2002, guerra pronta a partire, Tony Blair annuncia di essere in possesso di un dossier secondo il quale l’Iraq si era dotato di strumenti per fabbricare armi di distruzione di massa, pur senza citare l’uranio del Niger. Il 26 settembre è Colin Powell al Senato Usa a rinforzare la menzogna. Il 28 gennaio 2003 George W. Bush nel discorso ‘State of the Union’ annuncia che il governo britannico era in possesso di prove sulla presenza, in Iraq, di uranio utile per armi di distruzione di massa. «The British government has learned that Saddam Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa». Sedici parole per una menzogna storica.
A guerra ancora in corso le prime inchieste giornalistiche statunitensi e, alla fine del 2003, l’amministrazione ammise che le prove a sostegno della dichiarazione presidenziale del gennaio «erano inconcludenti e che quelle sedici parole non avrebbero mai dovuto essere incluse nel discorso presidenziale», addebitandone l’errore alla CIA.
La vicenda fu raccontata in Italia nel 2004 e i fatti furono ricostruiti l’anno seguente da un’inchiesta svolta dai giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, del quotidiano La Repubblica (ottobre 2005). Il 31 ottobre 2005 l’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dopo l’incontro con il presidente George W. Bush alla Casa Bianca, affermò che Bush aveva confermato di non aver ricevuto alcuna informazione dall’Italia. Tuttavia, il presidente statunitense non si è mai espresso apertamente sulla vicenda. Inoltre, Berlusconi allora premier, ha sostenuto che l’informazione sarebbe arrivata dagli inglesi, i quali, però, l’avrebbero ricevuta dagli italiani.
Brani di una inchiesta. «Silvio Berlusconi e George W. Bush. Dopo l’11 settembre la Casa Bianca chiese a tutti gli alleati, e in particolare all’Italia, notizie e prove che evidenziassero la pericolosità sociale di Saddam Hussein».
Bonini e D’Avanzo e altra stampa allora impegnata, approfondirono e svelarono, toccando il tema scottante del rapporto tra disinformazione truffaldina (Martino) e disinformazione di Stato con avallo politico, mai risolta. Disinformazione anche italiana oltre che statunitense per una guerra feroce.