
La guerra in Ucraina ha indubbiamente scatenato una corsa al riarmo sul piano globale. In realtà tale corsa c’era già prima, ma non a questi livelli. Dopo la “operazione speciale” di Vladimir Putin, tutti (o quasi) i Paesi, e non solo in Europa, si stanno adeguando allo standard richiesto dalla Nato, vale a dire una spesa militare almeno pari al 2% del Pil.
Non è certo cosa di poco conto, poiché significa che ormai è diffusa un’attitudine psicologica comune che ritiene inevitabili i conflitti armati quando tra gli Stati vi sono controversie da risolvere. Pure questa non è una novità. Tuttavia in precedenza i Parlamenti concedevano con estrema parsimonia aumenti delle spese belliche, di solito definite con un eufemismo “spese di difesa”, per mere esigenze di bilancio. Ora quei vincoli sembrano superati, e nessuno vuole restare indietro nella corsa agli armamenti.
Caso emblematico è quello del Giappone. Nazione tradizionalmente militarista e con grandi tradizioni belliche, il Paese del Sol Levante, dopo la disastrosa sconfitta nel secondo conflitto mondiale, fu costretta dagli Alleati vincitori (Usa in primis) ad adottare una Costituzione integralmente pacifista. Ispirata direttamente dal generale Douglas MacArthur, proconsole americano a Tokyo dopo la fine della guerra.
L’articolo 9 di detta Costituzione prevede che il Giappone non possa dotarsi di un esercito, e che debba rinunciare all’uso della forza nelle controversie internazionali. In realtà la Guerra Fredda ha ben presto cambiato la situazione. Anche se dipendono dagli Stati Uniti per la loro sicurezza, i giapponesi un esercito lo hanno pur chiamandolo “Forza di autodifesa”, e risultano al nono posto nel mondo per spese militari. Il pacifismo è comunque rimasto forte nell’opinione pubblica, memore delle tragedie di Hiroshima e Nagasaki. E’ noto che il Giappone, se lo volesse, potrebbe facilmente dotarsi di armi nucleari, e finora non lo ha fatto proprio a cause delle sunnominate tragedie.
C’è però una domanda che è indispensabile porsi. Puoi continuare ad essere pacifista integrale quando i tuoi vicini non lo sono affatto? Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un continua a lanciare missili che sorvolano il territorio nipponico, costringendo i cittadini a raggiungere i rifugi quando suonano le sirene d’allarme. Dal canto suo la Cina adotta una politica aggressiva organizzando spesso manovre congiunte con i russi.
Il premier Shizo Abe, assassinato nel luglio di quest’anno, aveva concluso che il pacifismo integrale non è più sostenibile tentando – senza riuscirci – di modificare la carta costituzionale. Il suo successore, Fumio Kishida, ora ci riprova e ha qualche probabilità di successo, proprio grazie all’atteggiamento nordcoreano e cinese.
Si noti, comunque, che il Giappone ha già accresciuto notevolmente il budget militare, passando da 40 a 287 miliardi. Di rilievo anche l’accordo siglato tra la giapponese “Mitsubishi”, la britannica “BAS Systems” e l’italiana “Leonardo” per produrre il modernissimo caccia “Tempest” di sesta generazione (sempre in funzione anti-cinese).
Si tratta di cambiamenti di grande portata, destinati a cambiare gli equilibri nel turbolento scacchiere dell’Indo-Pacifico. Senza scordare che Tokyo concorda in toto con Washington circa la necessità di difendere Taiwan da un eventuale attacco da parte della Repubblica Popolare.
Tempi difficili per i pacifisti ovunque, insomma, mentre il mondo assomiglia sempre più a una polveriera pronta a esplodere.